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AGOSTO 2018 PAG 30 - Produzione di biometano da reflui zootecnici

Gap infrastrutturale della Campania con pochi impianti rispetto ai circa 1.300 che negli ultimi anni sono sorti nel centro nord della penisola

“Le virtù dell’economia circolare sono a portata di mano. Esistono già le competenze tecnologiche, nel settore delle energie rinnovabili, per lo sfruttamento e l’industrializzazione di un potenziale territoriale che attualmente viene letteralmente sprecato, alimentando da una parte la crisi dei rifiuti e dall’altro aumentando i livelli di inquinamento atmosferico”. È la convinzione dell’Architetto Luigi Vartuli, esperienza pioneristica nella progettazione e realizzazione di impianti fotovoltaici, alle prese con la nuova sfida della “produzione di biometano da reflui zootecnici” e un obiettivo ambizioso: colmare il gap infrastrutturale della Campania, “con pochi esempi di questo tipo che si contano sulle dita della mano, rispetto ai circa 1.300 che negli ultimi anni sono sorti nel centro nord della penisola”. “Una soluzione particolarmente adatta al tessuto economico della Campania, una delle poche regioni italiane a poter vantare due ampi aree territoriali, il Volturno e il Salernitano, caratterizzate da una grossa attività di allevamenti zootecnici per la produzione della mozzarella di bufala”.

Proprio nel comune di Cancello e Arnone, in prossimità di un territorio che con circa 170 mila capi di bestiame presenta le condizioni ideali per fornire “carburante” a questo innovativo tipo di impianto, potrebbe ripartire dal prossimo novembre la lunga marcia di Vartuli. “Al termine di un defatigante iter autorizzativo ci sarà la possibilità concreta di riallacciare i fili di un discorso iniziato nel 2013 e che potrebbe rappresentare una svolta anche per gli allevatori”.

L’idea è di superare l’attuale situazione, caratterizzata da una frammentarietà di minuscole iniziative in materia, contribuendo attraverso un’adeguata economia di scala, garantita dalle dimensioni della struttura, al rilancio ambientale di tutta la provincia.

Ma come funziona nel concreto la produzione di biometano? “In breve – spiega Vartuli – i reflui degli allevamenti, attualmente conferiti nelle vasche, sarebbero prelevati quotidianamente per essere riversati, dopo un processo di sanificazione, e un ulteriore passaggio intermedio, in una struttura cilindrica, denominata digestore, dove i metano-batteri completerebbero il lavoro. Per rendere la trasformazione più efficiente – continua – ai reflui vanno aggiunti anche sfalci di potatura e biomasse provenienti dagli scarti dell’industria agroalimentare: bucce di pomodori, stocchi di mais, scarti di frutta stagionale. Il risultato, oltre al biogas, sottoposto ad un ulteriore processo di purificazione, consiste nella produzione di liquidi con bassa concentrazione di nitrati, adatti all’irrigazione, e prodotti solidi che potranno essere inseriti nel ciclo di produzione del compost”.

Un cerchio in cui tutto viene riciclato (“il processo è anaerobico – sottolinea Vartuli – non produce odori”) creando nuova energia e un paradigma innovativo nella gestione di una parte dei rifiuti industriali alla base delle ripetute crisi che hanno colpito la Campania negli ultimi anni.

“Sullo stesso principio si basa anche l’autorizzazione che stiamo portando avanti in Regione relativa all’impianto presso Santa Maria la Fossa (CE) per il recupero energetico della frazione organica dei rifiuti urbani proveniente dalla raccolta differenziata,” continua l’architetto. “In questo ambito stiamo sviluppando dei progetti industriali innovativi per utilizzare lo scarto di due processi rinnovabili: la CO2, sequestrata dalla digestione anaerobica, e l’elettricità prodotta in eccesso, non attualmente immagazzinabile nella rete gas. Attraverso il procedimento cosiddetto power to gas puntiamo allo sfruttamento della CO2, da combinare con l’idrogeno, per ottenere metano da immettere in rete o liquefare per l’utilizzo nel trasporto pesante Gnl. Ma il primo obiettivo è la cattura e il riuso dell’anidride carbonica che, liquefatta, può essere venduta all’industria alimentare che oggi la importa dall’estero”.
Giovanni Grande
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