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LUGLIO 2020 pag. 18 - Prepariamoci ad un periodo di equilibri traballanti







Intervista con il Prof. Arduino Paniccia, Presidente ASCE - Scuola di Guerra Economica e Competizione Internazionale, cercando di tratteggiare il futuro delle questioni geopolitiche alla luce delle conseguenze della pandemia da Covid-19.

In che misura la pandemia influenzerà gli equilibri geopolitici? Quali elementi di continuità con il quadro precedente e quali “novità strutturali” emergeranno nel breve – medio periodo?
Quello di una maggiore proficua cooperazione internazionale - una volta superata la pandemia - appare come una illusione, mentre si profila un periodo di conflitto economico paragonabile a eventi lontani, come lo scontro per la supremazia in Europa e nel mondo, all’inizio del secolo scorso, tra impero inglese e impero tedesco. Il modello della globalizzazione nato con le aree speciali di Deng ormai 40 anni fa era, già prima del Covid, indebolito dalla crisi speculativa del 2008, cui si era assommato il declino del modello economico e sociale europeo post muro, sancito con l’accordo di Maastricht. Tutti questi eventi non possono che indurci a ritenere che gli equilibri geopolitici, già traballanti, saranno definitivamente scossi e non solo per qualche mese. Dobbiamo quindi prepararci ad un periodo di forte discontinuità con tutto il quadro precedente e ad un “nuovo” non foriero solo di elementi positivi (“andrà tutto bene”) anche se, come in tutti i periodi di transizione, non mancheranno le opportunità. Il vecchio continente, vecchio appunto, che in realtà assomiglia molto all’Italia, faticherà a reggere l’urto della fase neo-mercantilista, se l’Europa diventerà il campo di battaglia della grande guerra economica del futuro. E’ inevitabile, come già è accaduto in passato, che le potenze - la “triade” costituita da USA, Cina e Russia - cerchino di combattersi senza esclusioni di colpi in modalità proxi e l’Europa, ma anche l’India e l’Africa, sono territori di scontro ideali per questo. Non resta altro che attrezzarci, ma la domanda è se prima ancora della capacità operativa per resistere a tutto ciò, possediamo oggi la lucidità strategica per tracciare le linee guida per effettuare un cambio così profondo nel nostro posizionamento nazionale. Ad esempio, il comparto portuale italiano nel suo complesso risulta essere non in linea con le nuove necessità. Questa difformità s’è acuita con i recenti lavori di Suez che, è bene ricordarlo, oltre ad aver raddoppiato la capacità del canale ha prodotto la possibilità di transito dei giganti del mare. Proprio questo aspetto ha molto modificato la navigazione nell’antico Mare Nostrum, aumentando notevolmente la presenza del gigantismo navale una volta costretto a circumnavigare l’Africa doppiando Capo di buona Speranza per i bastimenti provenienti dall’Oriente. Le nuove tecnologie propulsive, con l’inevitabile impiego del NGL (Natural Gas Liquid) e navi di grandi dimensioni con chiglie profonde, hanno reso molti dei nostri porti inadeguati. Un altro aspetto di grande importanza è dato dal recente sviluppo della logistica, che sempre più necessita di spazi molto ampi sviluppati in base alle nuove esigenze. Sono solo due esempi che, tuttavia, servono per comprendere la necessità di un profondo adeguamento.

La pandemia sembra mettere in crisi il modello di globalizzazione “senza regole” fin qui dominante: quale equilibrio si instaurerà nella dialettica tra apertura e sovranità, già ampiamente emersa negli ultimi anni come reazione a questo modello?
Non è vero che la globalizzazione sia stata senza regole. In realtà, la norma era che i Cinesi potevano fare tutto, mentre l’Occidente doveva rispettare statuti dei lavoratori, diritti umani, accogliere gli immigrati, proteggere l’ambiente. Regole di civiltà che dovranno invece diventare condivise da tutti nel futuro. La sovranità non è un luogo comune e neanche una parola vuota. Essa prevede, tra l’altro, che molte delle filiere essenziali debbano essere gestite secondo l’interesse nazionale, ovvero che, ad esempio, se abbiamo bisogno di mascherine o respiratori questi, in un momento di grave emergenza, devono essere disponibili immediatamente, in Italia, nelle quantità necessarie e non pietite all’estero. L’apertura alla internazionalizzazione, che è elemento indispensabile per avere ancora un futuro, non significa non effettuare reshoring, creare valore aggiunto, gestire intelligence, controllo cyber, alleanze vere e non evanescenti, capacità diplomatica per rimettere un Paese al centro del Mediterraneo, che sarà uno degli snodi cruciali del mercantilismo in atto.

Come le nuove tecnologie, militari e civili, influenzeranno il prossimo quadro geopolitico, con particolare riguardo al settore marittimo? Quale ruolo per l’Italia nell’arco di crisi aperte nel bacino del Mediterraneo?
Premesso che nessun impatto tecnologico è in grado di sostituire una vera strategia, se non correndo il rischio, come gli USA, di condurre guerre per 70 lunghi anni - dalla Corea all’Afghanistan - strapiene di tecnologia ma senza nessuna vittoria, è chiaro che nel futuro di un paese come l’Italia, nella situazione appena descritta, fondamentale sarà la proiezione marittima e navale. Ciò è dimostrato dal fatto che ogni volta che nel Mediterraneo, per la difesa dei “sacri” confini dell’Europa, devono arrivare flotte straniere, alla fine le grandi operazioni navali ideate a tavolino diventano evanescenti o, peggio, rischiano di creare scontri all’interno della NATO (per esempio tra Grecia, Cipro e Turchia). L’Italia è il fulcro, ma se questo non è chiaro alla Germania, all’Olanda, alla Danimarca, al Lussemburgo, alla Finlandia, noi e naturalmente l’Europa avremo sempre dei grandissimi problemi, perfino a controllare, absit iniuria verbis, dei banditi scafisti. Quando parlo del navale includo anche la Marina Mercantile. La proiezione non può essere soltanto militare. L’impero inglese è diventato ricco attraverso Compagnie Mercantili difese da fanti di marina e navi militarizzate. Lo stato degli equipaggi è oggi spesso pietoso e i marittimi abbandonati a se stessi, come nel caso Covid. La struttura mercantile va implementata, a partire dai nautici che devono trasformarsi in vere e proprie accademie come negli USA, fino alla riforma del sistema portuale per il migliore utilizzo delle opportunità del canale di Suez, dell’asse Adriatico e con il consolidamento del ruolo nazionale nell’area del Mediterraneo, non solo orientale. In particolare, grande attenzione dovrà essere rivolta ai porti Adriatici che, situati in un mare ristretto, subiscono maggiormente la concorrenza dei porti della costa orientale, più generosa dal punto di vista naturale, ma anche in virtù dell’imminente costituzione delle ZEE che causeranno attrito internazionale e saranno acceleratori economici di grande importanza. Proprio la peculiarità geografica adriatica costituirà un elemento di grande interesse che dovrà essere attenzionata ed analizzata nel modo dovuto.

In che misura l’iniziativa BRI subirà mutazioni a causa delle conseguenze della pandemia?
La BRI sembrava, fino ad un anno fa, una strada senza ostacoli per un progetto faraonico, che doveva collocare nelle aree del mondo prodotti cinesi, rafforzando il soft power dell’impero di mezzo. Ma come si è detto all’inizio di questa intervista, il progetto può decadere per molti motivi: la corruzione che ha accompagnato il cammino nei paesi asiatici, gli ostacoli politici incontrati nelle relazioni bilaterali, la obliqua alleanza russa, peraltro determinante per la linea ferroviaria terrestre. In verità è il presupposto strategico che può far cadere la BRI: basata sul soft power, essa può venire travolta dalla guerra vera, la guerra economica che ne è antitetica. Presentarsi con sembianze amichevoli e finanziamenti da restituire poi a caro prezzo può non essere più sufficiente, nel momento in cui la guerra economica potrebbe alzare reticolati, barriere, dazi e contingentamenti e considerato che le enormi risorse per far funzionare l’iniziativa probabilmente verranno a mancare, causa appunto gli imprevisti eventi, per primo il Covid, ma anche la necessità di mantenere i livelli di benessere interni. L’iniziativa sarà tenuta in piedi dal governo cinese, ma con aspettative e risultati molto più ridotti rispetto al passato.
                                                                                                                         Giovanni Grande
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