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NOVEMBRE 2023 PAG. 52 - Schola Salerni tra memoria e valorizzazione

 



La storia della medicina e del pensiero medico, nell’ambito della Schola Salerni, ha una lunga tradizione alle spalle ed una ricca eredità di testi, di manoscritti, di pergamene e di materiale strettamente connesso alla vita dell’antica Istituzione, autorevole e prestigioso monumento identitario, caratterizzato dall’estro e dalla genialità dei suoi antichi magistri. La mostra a cura di Vittoria Bonani, Enrico Indelli e Giuseppe Lauriello, intitolata “La lunga storia della Schola Salerni. Una tradizione millenaria tra memoria e valorizzazione”, presentata in occasione delle recenti “Giornate della Scuola Salernitana” cattura, racchiude e rende vivo, anche dopo secoli, l’enorme patrimonio di idee, trattati, innovazioni e scoperte, che costituiscono la più preziosa testimonianza dell’ars medica salernitana.

Il percorso espositivo si apre con la splendida veduta di Salerno di Angelo Rocca del 1584, che offre una rappresentazione molto dettagliata e realistica della città rinascimentale con il suo vertice fissato nel Castello Arechi e nella sua cinta muraria. Tra le poderose mura della città-fortezza si sviluppò l’Opulenta Salerno del principato longobardo, particolarmente influente, splendida e florida per i suoi commerci, per la sua composita cultura e per la fama della Schola che richiamava a Salerno illustri medici e famosi pazienti provenienti dal resto d’Europa. Con i Normanni e con il ducato di Roberto il Guiscardo divenne altrettanto ricca e potente, tanto da essere prescelta a diventare capitale del Regno di Sicilia.

Nella città fortificata e in un contesto cosmopolitico si sviluppò la Scuola Medica che raggiunse l’apice del successo grazie ai suoi medici, uomini e donne, tra i quali emerge un nome autorevole ed illustre, quello di Trotula, che fu celebre scienziata nella Salerno dell’XI secolo, ma anche docente e saggista. Accurata ed accorta fu la sua preparazione sui grandi temi della salute, dell’igiene e della bellezza femminile e privo di pregiudizi il suo modo di occuparsi di sessualità, di gravidanza e di parto, branche della medicina che per la prima volta furono trattate e supportate tramite l’esperienza, basata sull’osservazione, sul tatto e sull’uso dei sensi. 

Ma la Schola detiene anche un altro primato, quello della prevenzione e della tutela della salute: “Omnibus assuetam jubeo servare dietam”, recita il Regimen Sanitatis Salernitanum, opera in versi leonini che, in base alle sue norme igieniche di carattere formativo e divulgativo, è attenta a consigliare l’osservanza di un’abituale dieta, di una corretta alimentazione, regolata sul rapporto equilibrato degli elementi costitutivi, sull’armonia del corpo nel cosmo. 

La fortuna editoriale del Carmen salernitano, che ha incontrato grande favore e vasta risonanza in Italia e nel mondo, è attestata dall’esistenza di molteplici volumi prodotti dai torchi delle più famose stamperie, soprattutto nei secoli XVI e XVII, e dalla lungimiranza di attenti editori impegnati nella diffusione della dottrina medica della città ippocratica con la tiratura di molti esemplari “per acquistare e custodire la sanità”. La regola salernitana trova in Arnaldo di Villanova, celebre medico della famiglia reale aragonese, dei papi e dei potenti, il sapiente curatore e commentatore, in grado di esporre in maniera scientifica i precetti della dottrina della città di Ippocrate e di proporre un modello preciso e ben organizzato da esportare nel resto d’Europa. 

E, nel percorso espositivo è possibile ammirare la presenza dell’edizione veneziana del tipografo Bernardino Vitali, impresso sul finire del Quattrocento, che si contraddistingue per un frontespizio arricchito di una splendida vignetta xilografica, voluta per abbellire l’opera ed anche per esaltare il fascino del pensiero medico salernitano, elaborato e posto al servizio dell’umanità. 

La mostra, avvertita come necessità ineludibile per i suoi curatori che credono fortemente nel valore di questa millenaria Istituzione, rappresenta un’operazione culturale proiettata al recupero delle linee più significative di questo celebre passato, di questo tesoro rappresentato dalla Schola ed alla comprensione, nello scorrere del tempo, delle aspirazioni, delle necessità e delle motivazioni che spinsero i grandi medici di Salerno, come Matteo Silvatico, ad occuparsi empiricamente dell’ars medica mediante l’uso sapiente delle erbe, utilizzate da sempre per la cura delle infirmitates e della bellezza del corpo. 

Nelle “apothechae” si raccoglievano e conservavano le sostanze semplici, elaborate in una nuova cultura farmacologica e fitoterapica che dominerà incontrastata per molti secoli. Le piante medicamentose, i fiori, le erbe erano coltivate nei lussureggianti giardini diffusi tra le mura conventuali; una volta essiccate e spolverate, avrebbero fatto bella figura negli albarelli della farmacopea monastica per preparare pillole, decotti, infusi e ‘remedia’ vari.

Quasi certamente a Salerno sorse anche il primo orto botanico europeo per opera di Matteo Silvatico, il quale diede vita, intorno al 1320, al Giardino della Minerva collocato nel cuore del centro storico in una zona denominata Plaium montis, a metà strada di quel percorso che va dagli orti chiusi e terrazzati, posti attorno al torrente Fusandola, fino al Castello di Arechi. Nel Giardino dei semplici, l’insigne medico salernitano coltivò e classificò una grande quantità di specie, per studiarne le caratteristiche e le proprietà curative e per insegnarle agli allievi dell’illustre Scuola Medica salernitana. 

Viene presentato al pubblico il ritratto del medico Silvatico, il frontespizio della sua poderosa opera pubblicata a Venezia nel 1511 - esemplare posseduto da Bernardo Altieri - e l’altro ragguardevole particolare estrapolato dal volume, in cui riferisce un episodio verificatosi a Salerno: “Et ego vidi eos Salerni”, volendo nello specifico raccontare l’invasione di cavallette, voraci ed invasive, avvenuta nell’anno “dominice incarnationis” 1297.

La farmacopea salernitana, oltre il prezioso contributo di Matteo Silvatico e grazie all’impegno di tanti altri insigni magistri, tra i quali spicca il nome di Matteo Plateario e del suo “Circa instans”, ha lasciato una ricchezza di produzione testuale che, pur non arrivando a noi direttamente per una difficile identificazione dei nomi degli autori, per una mancanza di notizie biografiche e per una trasmissione diversificata delle redazioni salernitane, è considerata fondamentale nel campo della materia medica, essendo strumento teorico e pratico per medici e speziali. 

Gli erbari salernitani, compresa l’opera Pandette, si diffusero in Europa e furono tradotte in diverse lingue nazionali; la loro capillare circolazione testimonia il carattere pratico della medicina fitoterapica salernitana, confermata dalla diffusione dell’Herbolario volgare, esemplare della collezione Altieri, stampato a Venezia nel 1534, che fa emergere il ruolo esercitato dalla nostra classe medica e dalla tradizione verde, assimilata  e rappresentata da questa piccola enciclopedia, ritenuta strumento di lavoro dei medici ed erboristi, oltre che pronto soccorso dei poveri.

Tutti lo utilizzavano come base essenziale della farmacopea di matrice salernitana, fonte di informazione unica sulle virtù medicamentose e terapeutiche delle erbe officinali semplici e sull’efficacia dei rimedi composti; un manuale completato ed impreziosito da un corredo iconografico, desunto dalla tradizione dell’Hortus sanitatis, medievale, rappresentato da 151 xilografie che riproducono piante ed erbe medicinali, inclusa la Mandragora alla c. XCIIII, qui fortunatamente integra e non mutila così come avviene in molti esemplari censurati. 

Il frontespizio esposto mostra una prima suggestiva xilografia con i santi medici Cosma e Damiano ed una seconda immagine, quella della Serpentaria o Dragonea – che non costituisce l’unico caso - in cui sono riportati i nomi del Plateario e del “Pandetario”, a voler confermare la preponderanza dottrinaria della Scuola di Salerno in questo campo.

Lungo le pareti laterali del teatro fanno bella mostra otto grandi pannelli, sui quali spiccano le sagome di otto splendide piante, estrapolate dall’Herbolario Altieri, manuale su cui un abile incisore ha impresso mirabili xilografie con matrici di legni vergini, inchiostrati e mai utilizzati prima per altri esemplari.

Giovanni Grande

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