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MARZO 2024 PAG. 66 - LIBRI

 

Il pasto gratis. Veronica De Romanis, Mondadori

Quando nel 2011 la crisi dello spread porta alla nascita del «governo dei professori», il nuovo esecutivo con a capo Mario Monti interviene con tagli e inasprimenti della pressione fiscale. Misure che riescono a mettere sotto controllo i conti pubblici, rivelandosi però altamente impopolari. Gli esecutivi che da allora si sono succeduti alla guida del Paese, diversi per composizione e agenda politica, hanno avuto un tratto comune, quello di voler porre fine all’«austerità». E di tornare a spendere, se possibile senza alcun vincolo, distribuendo risorse prese a prestito a beneficio di famiglie e cittadini. A una sola condizione, però: che tali interventi venissero presentati sempre e in ogni caso privi di costi, come se il debito pubblico non fosse anche il debito degli italiani. Una tentazione che si è rivelata irresistibile. Un vizio bipartisan. Un collante straordinario che ha trovato tutti d’accordo. Perché servire pasti gratis, facendo passare il messaggio che a nessuno alla fine spetti saldare il conto, genera consenso e fa vincere le elezioni. Non importa se questa attitudine rappresenta una scelta miope, irresponsabile e profondamente iniqua, che peserà sul futuro delle giovani generazioni. Promettere la luna, infatti, è un modo facile per arrivare al potere. Ma la verità è che non esistono pasti gratis. E quando le illusioni svaniscono, quando gli espedienti contabili non bastano più, il rischio è che il prezzo più alto lo paghi la democrazia.

 

Frontiera. Francesco Costa, Mondadori

C'è una storia che ascoltiamo da un po' di tempo, e descrive la più grande superpotenza del pianeta come in balìa di un irrimediabile declino. È la narrazione di un paese che balla sull'orlo del precipizio, dove la radicalizzazione non è arrestata, le differenze fra conservatori e progressisti si sono allargate e le donne hanno perso persino il diritto a interrompere una gravidanza. Tutto vero. L'aria che si respira oltreoceano è elettrica, le tensioni razziali si sono inasprite e c'è un ex presidente che ha cercato di restare al potere dopo la sconfitta, che deve rispondere di oltre 90 gravi capi d'accusa e che nonostante questo – o proprio per questo? – è venerato da un'agguerrita minoranza della popolazione. Eppure sta succedendo anche altro. Gli Stati Uniti hanno ampliato la forza lavoro come non era mai accaduto prima, stanno riducendo le diseguaglianze, hanno innescato una rinascita industriale, hanno approvato il più grande investimento di sempre contro il cambiamento climatico. Non hanno mai avuto così tante donne con un lavoro, così tante persone con disabilità con un lavoro; il reddito mediano non è mai stato così alto, le persone afroamericane sotto la soglia di povertà mai così poche. Il tutto mentre la Cina affronta una fase di grande incertezza e rinuncia al sogno del tanto atteso sorpasso. Gli Stati Uniti d'America stanno attraversando un momento affascinante e contraddittorio, poco compreso e per certi versi unico nella loro vicenda nazionale. Com'è possibile che queste cose accadano contemporaneamente, nello stesso posto? Cosa hanno in testa gli americani, al di là delle caricature che vanno forte sui media?

 

Capitalisti silenziosi. Roberto Mania, Egea

Cercavamo l’America, abbiamo ritrovato l’Italia, quella delle medie (e anche grandi) imprese perlopiù familiari; non le grandissime aziende e tanto meno le public company. In silenzio, lontano dai riflettori, il capitalismo italiano ha scelto – o accettato – il suo modello. Ma quali sono le nuove famiglie del capitalismo tricolore dopo gli Agnelli, i Pirelli, i Pesenti? E anche dopo i Berlusconi, i De Benedetti, i Benetton, i Ferruzzi? Nel suo nuovo saggio, il giornalista Roberto Mania accompagna i lettori alla scoperta dei “Capitalisti silenziosi” che, quasi senza che ce ne accorgessimo, hanno cambiato il tessuto produttivo del Paese permettendogli di competere nelle acque (sempre più) agitate del mondo globalizzato. La rivoluzione del quinto capitalismo italiano è iniziata sottotraccia. Allo spontaneismo disordinato che aveva guidato il contraddittorio boom degli anni Ottanta, con rapporti a tratti incestuosi con la finanza e la politica, si è sostituito un sistema strutturato di medie-grandi imprese, innovative, globalizzate (per quanto radicate nel locale, nei piccoli centri più che nelle grandi aree urbane), patrimonialmente solide, digitalizzate, tendenzialmente green, capaci di trascinare con sé una larga fetta dei subfornitori di piccola dimensione. E soprattutto, nella stragrande maggioranza dei casi, a salda proprietà familiare. Anello forte della società, la famiglia è anche protagonista principale del sistema produttivo. È da qui, infatti, che arriva complessivamente quasi la metà della produzione industriale nazionale. Oltre l’80% delle imprese italiane è a controllo familiare, una quota superiore rispetto a quella degli altri Paesi europei. Sono queste aziende la spina dorsale del Made in Italy con più di 2,5 milioni di dipendenti. E poi ci sono le “eccellenze”, il fulcro del riscatto del capitalismo familiare, quelle oltre quattromila medie-grandi imprese manifatturiere che di fronte alla crisi provocata dalla pandemia hanno dimostrato di saper reagire meglio delle altre, adattandosi più rapidamente al nuovo scenario, salvaguardando l’occupazione e mantenendo le fabbriche aperte nel segno della resilienza.

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