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APRILE 2024 PAG. 60 - Filiera della pesca, necessarie nuove tecnologie e formazione

 

Filiera della pesca, necessarie nuove tecnologie e formazione

Dieci anni fa esatti, in occasione dell’Expo di Milano, la Federazione del Mare pubblicava il report “Feeding the Planet” in cui veniva quantificato per la prima volta l’importanza della “blue economy” come supporto all’alimentazione del pianeta. Non solo trasporto di merci e prodotti alimentari ma anche pesca e acquacultura, settori quanto mai strategici in un contesto di demografia globale che si avvia verso gli otto miliardi di abitanti. Già nel 2014 emergevano quelle che erano le costanti con cui ci confrontiamo ancora oggi: costo dell’energia, competizione internazionale, questione ambientale. 

Da allora la situazione del comparto pesca è ulteriormente mutata. Alcuni fattori di criticità si sono acutizzati, nuovi ne sono emersi. Tra questi, la svolta impressa all’attività dall’adozione delle politiche comunitarie che hanno impattato quanto mai sui processi operativi, le rese economiche, la portata occupazionale di un segmento dell’economia marittima che in Italia si intreccia con storie e tradizioni territoriali ben radicate. 

Con la nuova programmazione FEAMPA - Fondo Europeo Affari Marittimi Pesca e Acquacoltura, relativa al periodo 2021-27, l’Italia beneficerà di circa 528 milioni di euro (che arriveranno a sfiorare il miliardo, considerando le integrazioni previste dalle politiche regionali) per traguardare pesca e acquacultura verso obiettivi di “adattamento economico e sociale, in un quadro di sostenibilità”. Una novità assoluta rispetto alle programmazioni precedenti in quanto al centro della strategia europea sono integrati per la prima volta i traguardi di sostenibilità ambientale, economica e sociale compresi nell’Agenda 2030 dell’Ue. 

«La nuova architettura comunitaria prevede ancora riduzioni di numero di giornate di attività ma, allo stesso tempo, fornisce per la prima volta indicazioni in cui si tiene conto dei possibili impatti sui territori, popolazioni e relative economie». Antonella Cammarano, dirigente della Direzione Generale Politiche Agricole Alimentari e Forestali della Regione Campania, ha avuto modo di illustrare i punti salienti della nuova politica europea in occasione del convegno “Il futuro della pesca. Opportunità o rischi per il comparto italiano?” organizzato recentemente dal Propeller Club di Salerno. «In Campania, il fondo europeo, ripartito in virtù di una serie di parametri come capacità di spesa precedente, flotta, investimenti, destinerà circa 70 milioni di euro. Un risultato soddisfacente che dovrà supportare un settore comunque alle prese con una serie di fragilità, come una flotta vetusta, bisognosa di un profondo ammodernamento, e una “crisi di vocazione” che mette a repentaglio il ricambio generazionale».   

Difficoltà – adeguamento delle flotte, limitazioni alle attività per preservare gli stock ittici, mancanza di operatori – che in misura minore o maggiore riguardano un po’ tutte le marinerie d’Italia, alle prese con una sorta di “marginalizzazione” del settore. 

«Il pescatore è l’anello debole di uno scacchiere che negli ultimi decenni è diventato sempre più complicato» ha sottolineato Franco Andaloro, Direttore tecnico della Fondazione “Massimo Spagnolo”. «Per migliaia di anni il mare è stato terreno di adozioni per pochissimi attori. Oggi tra interessi geopolitici ed economici la pesca è diventato il classico vaso di coccio tra vasi di ferro». 

E la situazione è destinata a complicarsi sia per i processi di “territorializzazione” del mare, con l’istituzione nel Mediterraneo delle varie ZEE – Zone Economiche Esclusive, che renderanno le acque internazionali sempre più difficili da solcare, sia per la mancanza di un approccio “olistico” alla risorsa mare nella determinazione delle politiche comunitarie. 

«Nonostante tutto continua a mancare un’impostazione eco-sistemica rispetto alle attività della pesca: il cambiamento ambientale sta producendo una modifica della distribuzione delle specie, così come le microplastiche e i metalli pesanti contribuiscono ad una maggiore mortalità degli stock ittici. C’è poi la questione finora sottovalutata delle flotte internazionali che operano al di fuori di ogni regola». 

In che modo, dunque, preservare una filiera produttiva che si intreccia in modo profondo con le radici culturali della penisola?

Per Vincenzo Abate, presidente della “Fondazione San Pietro Apostolo E.T.S.” servono formazione, didattica avanzata e nuovi modelli organizzativi. La pesca deve aggiornarsi. 

«La tecnologia ha rivoluzionato profondamente anche la nostra attività. Oggigiorno, a bordo di un peschereccio servono competenze trasversali, lontane da quelle del pescatore tradizionale. C’è bisogno sia di tecnici in grado di gestire le apparecchiature di bordo, che si fanno sempre più complesse, sia di amministrativi, per allinearci a un sistema di regole molto più articolato che in passato. Per sfruttare tutte le opportunità del comparto bisogna favorire la crescita culturale e rinnovare il rapporto con il territorio. La creazione di una Fondazione, sulle basi di un’esperienza cooperativa che a Cetara è tra le più durature a livello nazionale, va in questa direzione. Il cambio di modello ci ha permesso di organizzare iniziative per il miglioramento della qualità della vita delle persone. Un punto di partenza che riteniamo essenziale per il futuro sviluppo della nostra attività». 

Crescita culturale che deve riguardare anche l’altro estremo della filiera pesca. Ne è convinto il Contrammiraglio Maurizio Trogu, delegato regionale Campania-Basilicata LNI, che sulla scorta del lavoro di controllo effettuato quotidianamente dalle Capitanerie di porto, considera l’educazione del consumatore finale un tassello fondamentale per contribuire alla sostenibilità complessiva della pesca. 

«Il mercato dei prodotti sottomisura e di quelli non commerciabili perché ad alto rischio ambientale, è alimentato da una domanda di consumo che va combattuta preventivamente. È necessario che il consumatore sia informato sulle conseguenze gravi sull’ecosistema derivanti dal consumo di prodotti come datteri e ricci di mare. Un’altra occasione potrebbe essere costituita dalla riconversione delle flotte per le attività autorizzate in aree marine protette. La filiera potrebbe uscirne arricchita favorendo lo sviluppo di business alternativi».

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