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GIUGNO 2023 PAG. 20 - Il CIPOM dovrà coordinare vari soggetti sulla blue economy


 La percezione dell’importanza dello shipping per l’economia italiana sembra decisamente cambiata. La recente istituzione del ministero del Mare coglie le sollecitazioni arrivate dal settore negli ultimi anni a consolidare una visione strategica di sistema, alla luce del crescente peso del comparto nello sviluppo dei traffici e della ricchezza globale. «Al di là della definizione delle sue funzioni, ancora affidata a una calibrazione che deve basarsi sulla quantità e la qualità delle cose da fare, la vera e propria cartina di tornasole per dare una valutazione di merito risulterà la capacità della nuova struttura di coordinare i vari soggetti ammnistrativi che hanno a che fare con la blue economy». Lo sottolinea a PORTO&interporto il Segretario Generale di Assarmatori, Alberto Rossi, nominato tra i dieci saggi che supporteranno il CIPOM (Comitato Interministeriale per le Politiche del Mare) nella redazione, tra l’altro, del primo “piano del mare”. 

Quanto sarà difficile mettere insieme tutte le competenze amministrative che insistono sulla tematica marittima?

Personalmente credo che le varie amministrazioni si lasceranno coordinare senza eccessive resistenze perché c’è una consapevolezza generalizzata sulla necessità di cambiare passo. Il periodo che abbiamo avanti risulta estremamente complesso. ETS, nuovi carburanti, transizione tecnologica, investimenti per il rinnovo delle flotte, oltre il riordinamento dei porti: tutti temi su cui bisognerà porre molta attenzione per evitare l’errore fatto con il cold ironing, dove sono state mobilitate risorse a pioggia senza preoccuparsi della effettiva possibilità di realizzare i progetti. Serve capire cosa si deve e si può fare per evitare di trovarci ancora una volta fermi al palo. Poi c’è un secondo fattore di rilevante importanza…

…quale?   

La maggiore attenzione alla protezione dell’interesse nazionale. Nell’affrontare la questione della transizione energetica ad esempio abbiamo cercato di difendere i servizi per le isole minori. La sostenibilità non può poggiare solo sulla tutela dell’ambiente ma deve tener conto anche di altri paradigmi come quello sociale ed economico. È un nuovo atteggiamento che non può essere derubricato alle semplici accuse di essere inquinatori o non voler affrontare i problemi legati al cambiamento climatico.  

Su quali tematiche si concentrerà Assarmatori nell’affrontare le sfide del futuro?

Una delle priorità sarà cambiare la metrica del CII (Carbon Intensity Indicator) lavorando in ambito IMO. Si tratta di un argomento molto tecnico ma il modello adottato non tiene in debito conto la sosta in rada o in banchina e deve essere revisionato. Sul principio nessun disaccordo. Sarà uno sforzo che dovremo compiere tutti insieme perché non possiamo correre il rischio che entro i prossimi due anni molte delle navi impegnate nei collegamenti marittimi a servizio del Paese non possano essere più utilizzate. Noi riteniamo che i costi che gravano sugli armatori, considerando anche il regime dell’ETS (Emition Trading System), debbano ritornare in Italia, recuperandolo dalle ripartizioni sui fondi europei per l’innovazione e la transizione energetica. 

Sulla norma sul registro internazionale?

In vista dell’approvazione del nuovo quinquennio di autorizzazione da parte di Bruxelles ci presentiamo con un gap importante rispetto agli obblighi da assolvere entro il gennaio 2021. Si tratta di una brutta pagina sia da parte dello Stato, attraverso l’articolazione delle sue amministrazioni, sia da parte delle associazioni di categorie che non sono riuscite a presentarsi a ranghi compatti. Per quel che ci riguarda la legge va rispettata. Se c’è una decisione della Commissione europea è inutile tergiversare per ritardare il momento in cui i nostri armatori legittimamente potranno utilizzare bandiere europee per le loro attività.  

Come affrontare il tema dei nuovi carburanti?

Va attivata la filiera industriale italiana che è già in grado di produrre il biodiesel. Questi prodotti opportunamente mischiati con il carburante a basso tenore di zolfo oggi utilizzato sulle nostre navi costituiscono la vera alternativa al fossile. Considerando che la biomassa e il biofuel da essa derivato è “carbon negative” in qualche modo l’emissione della CO2 è bilanciata e produce un beneficio in termini di minore ETS. Si tratta di una soluzione abbastanza efficace al problema della metrica dell’Imo di cui si parlava prima.

Quali le criticità se non si adottasse questo approccio?

Mi domando perché le associazioni internazionali che rappresentano gli armatori non siano intervenute subito in seno all’IMO. Una nave classificata tra il livello A e C di fatto non subisce alcun tipo di problematica. Per tutte le altre l’operatività diventa di fatto impossibile se non in presenza di una serie di interventi strutturali che però sono difficili da programmare perché non esistono ancora i nuovi carburanti. Si rimane intrappolati in una situazione paradossale in cui l’unica soluzione è viaggiare a minore velocità. Ma questo può ancora andare bene nei viaggi oceanici, nei collegamenti con la Sardegna come si fa? Senza considerare che le soste possono anche essere lunghe e non determinate dalla volontà dell’armatore. Se si deve scaricare grano ma piove la sosta fa precipitare il CII da D in giù. Ecco, questa è una cosa inaccettabile. Sbagliata.

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