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FEBBRAIO 2024 PAG. 66 - LIBRI

 

Contro la secessione dei ricchi. Gianfranco Viesti, Laterza


Geopolitica umana. Dario Fabbri, Gribaudo

«La geopolitica è disciplina di moda, interpretata in numerose forme, sovente contraddittorie. Formalmente è stata teorizzata tra Ottocento e Novecento come (s)fortunata crasi tra geografia e politica, appellativo che ne segnala ma non limita il campo di applicazione. Molte delle sue più note teorie sono già state superate dal tempo, così l'approccio di queste pagine trascende tale recinto. Meglio. Nulla di quella versione deterministica e incardinata sulla geografia si incontrerà qui. La geopolitica in oggetto è personale e umana. È emistemologia deputata a scavare nell'intimo delle relazioni antropologiche, a intuire quanto è invisibile agli osservatori esterni, incomprensibile ai soggetti coinvolti. Nel suo realizzarsi, risale alla fonte degli eventi, svela la fibra dei fenomeni sociali, penetra le profondità dell'esistenza. Spesso, il risultato della sua esplorazione suona misterioso ai contemporanei, per rivelarsi aderente alla realtà». In formula: la geopolitica umana studia l’interazione tra collettività collocate nello spazio geografico calandosi nello sguardo altrui. Oggetto della sua analisi sono le aggregazioni umane, in ogni realizzazione storica. Tribù, póleis, comuni. Fino all’epoca corrente, dominata dagli Stati-nazione, dagli imperi. Mai i singoli individui. Tantomeno i leader. Ritenuti irrilevanti, mero prodotto della realtà che pensano di determinare. Nella migliore accezione, soggetti che incarnano lo spirito del tempo. Un libro frutto degli studi e del personalissimo approccio di Dario Fabbri, che racconta di una geopolitica “umana”, intessuta con discipline quali l’antropologia e la psicologia collettiva, ma anche strettamente connessa con la profondità storica, l’etnografia e la linguistica, luogo in cui le parole si fanno campo di battaglia e che quindi segnala “traumi e invasioni, conquiste e seduzioni”. Una geopolitica da utilizzare come «lente graduata per vincere la miopia, prisma prezioso per scrutare le questioni del nostro tempo. Con l’obiettivo di comprendere cosa può scalfire il sistema che abitiamo, quale potenza possiederà il futuro, in quali contesti si deciderà la lotta per l’egemonia, quali effetti avrà sul nostro Paese.»

 

Contro la secessione dei ricchi. Gianfranco Viesti, Laterza

«Questo testo analizza il quadro e le prospettive del regionalismo italiano, e più in generale lo stato del decentramento politico e amministrativo nel nostro paese. È quindi un libro sul potere e sui diritti dei cittadini in Italia. Si occupa dei livelli di governo che hanno maggiore possibilità, per competenze e risorse economiche, di prendere le decisioni più importanti sulle grandi politiche pubbliche. E si occupa di come e quanto, a seconda dell’organizzazione del potere, possono essere garantiti i diritti costituzionali dei cittadini nei diversi territori del paese». Gianfranco Viesti, uno dei principali esperti di coesione territoriale, dipana una materia tanto intricata quanto decisiva. È vero, il regionalismo italiano funziona male. La soluzione sta nella proposta di un’autonomia regionale differenziata? Ma questa non determinerebbe una secessione di fatto delle regioni più ricche? Al cuore del testo due tesi. «La prima è che il grande processo di decentramento dei poteri, in particolare a favore delle regioni, che è avvenuto in Italia a partire dagli anni Novanta del XX secolo e poi grazie alla riforma costituzionale del 2001 ha determinato un quadro assai insoddisfacente, ricco di conflitti e di problemi. Un quadro che merita senz’altro una paziente e incisiva azione di miglioramento e di riforma, senza eccessivi sbandamenti né nel senso di un maggiore accentramento dei poteri, né verso ulteriori decentramenti. La seconda è che invece il dibattito politico degli ultimi anni non è orientato a risolvere questi problemi, ma a crearne di nuovi, gravi. È incentrato sulle richieste di decentramento asimmetrico formulate da alcune regioni: un processo che peggiorerebbe certamente la situazione d’insieme, concentrerebbe eccessivamente il potere nelle mani di pochi presidenti di regione e renderebbe ancora più difficile garantire i diritti civili e sociali di tutti i cittadini sull’intero territorio nazionale». Negativo, in sintesi, il giudizio sulla proposta: «potrebbe provocare conseguenze negative sull’intero paese e sui suoi cittadini, non solo per quelli delle regioni che non hanno intrapreso questa strada, ma per molti versi anche per quelli delle regioni che desiderano nuove competenze. Non si tratta infatti di decentramento, bensì di una sostanziale “secessione dei ricchi” (…) Le regioni dotate di maggiori autonomie si configurerebbero infatti come delle regioni-Stato, seppur formalmente ancora dentro la cornice nazionale. Esse godrebbero di poteri estesissimi e delle risorse per farvi fronte, anche se in modo differenziato fra di loro. Parallelamente, si avrebbe un depauperamento della capacità del governo e del Parlamento italiano di affrontare questioni vitali per i cittadini attraverso le politiche pubbliche ritenute più opportune. Ad essi rimarrebbero ritagli di competenze per ritagli di territori: l’Italia diventerebbe un paese arlecchinesco, confuso, inefficiente».


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