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Uno sviluppo coerente per la rete interportuale


 

Il 2027 per Claudio Ricci, Presidente e AD dell’Interporto di Nola, rappresenterà l’anno spartiacque per l’intermodalità italiana. «La chiusura prevista dei lavori di RFI sulla rete nazionale creerà le condizioni per un aumento di capacità di trasporto sul ferro: questo significa un abbattimento dei costi attuali fino al 20% e alla possibilità di attivare ulteriori economie di scala per rendere conveniente lo shift modale. Ma bisognerà rispettare i tempi e riuscire a ripartire in maniera adeguata i costi che il cluster sta pagando nell’immediato a causa delle interruzioni. Altrimenti, addio circolo virtuoso». 
Cosa potrebbe andare storto? 
Il rischio vero è quello di incartarsi. Tra allungamenti dei tempi e crisi delle aziende, specialmente quelle di medie dimensioni, il settore rischia di cadere nelle mani degli oligopoli del trasporto, tema, tra l’altro, che investe la dimensione europea da qualche tempo. Se i nostri “campioncini nazionali” soccombono, il beneficio dell’efficienza che verrà non si scaricherà più sui prezzi per la clientela ma sulle rendite di posizione. È qui che emerge la necessità del coordinamento nello sviluppo delle infrastrutture che può essere condotto solo dal pubblico. 
In che modo evitare il rischio? 
I due grandi vantaggi derivanti dall’adeguamento infrastrutturale in atto saranno la possibilità di far viaggiare su ferro i megatrailer, grazie alla risagomatura delle gallerie, e l’allungamento dei binari dei terminal a 750 metri. Se qualcuno rimane indietro su quest’ultimo punto il sistema rischia di incepparsi. E per evitare il rischio serve una politica di sviluppo coerente, in grado di intervenire sulla dotazione minima uniforme di tutti gli interporti. 
Quali interventi suggerisce? 
Innanzitutto il revamping delle strutture interportuali. Oltre all’allungamento delle banchine le azioni dovrebbero concentrarsi sul rafforzamento di quello che già c’è. Anziché investire in nuove aree, con tutto ciò che si determina in consumo di suolo e contraccolpi sul territorio, si potrebbero rafforzare le strutture a terra per aumentare la capacità di impilamento. Il paradosso italiano è che si è disposti ad investire, ed anche molto, nella creazione di nuovi siti, anziché occuparsi della manutenzione dell’esistente. 
Parliamo di Nola. Cosa prevedono i piani di sviluppo per l’interporto? 
Quest’anno gestiremo circa 2mila treni. L’obiettivo, a partire dal 2027, è saturare le nostre capacità raggiungendo i 4mila treni l’anno. E qui per il terminal. Poi ci sono i piani di sviluppo del business park che si appoggiano sull’opportunità di uno strumento di promozione territoriale importante come la ZES. La nostra strategia si basa sulla crescita delle attività industriali, commerciali e produttive. C’è una grande richiesta di spazi, anche collegata allo sviluppo dell’e-commerce, ma noi perseguiamo una linea precisa: ai magazzini robotizzati preferiamo l’insediamento di sedi centrali o strategiche che producano ricchezza sul territorio. 
Una strada più complicata? 
Un percorso certamente più lento, poiché legato a determinate condizioni di attuazione del nostro piano di business, in cui lo spazio messo a disposizione non è fine a se stesso ma si riempie di attività differenziate. Una condizione, tra l’altro, che permette all’interporto di giocare un peculiare ruolo di gestore unico delle attività logistiche materiali e immateriali: un abilitatore di connessioni tra diverse realtà. È il caso, ad esempio, dei corsi di formazione che attiviamo per venire incontro alle esigenze che parte delle nostre aziende non riescono a soddisfare singolarmente. 
L’impegno dell’interporto per la transizione energetica? 
Ad oggi contiamo già su un parco fotovoltaico di 800mila metri quadrati, frutto di un impegno cominciato 15 anni fa. Per quanto riguarda lo sviluppo di infrastrutture dedicate ai nuovi carburanti non abbiamo nessuna preclusione ad attrezzarci sulle esigenze che saranno individuate dalle aziende.

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