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Valorizzare i mille risvolti della Blu Economy



La “blu economy” cresce, anche in ambiti inediti. Negli ultimi anni, ad esempio, l’attenzione per la dimensione sottomarina è cresciuta esponenzialmente, mettendo insieme aspetti strategici come la sicurezza nazionale, l’approvvigionamento energetico e lo sviluppo tecnologico. Un aspetto che non lascia indifferente la Federazione del Mare che, al proposito, ha recentemente firmato un protocollo di collaborazione con WSense, società italiana leader nei sistemi di comunicazione subacquea wireless.
«L’obiettivo è quello di lanciare un ponte tra il cluster italiano dell’economia blu e le innumerevoli opportunità legate ad un settore ancora tutto da esplorare» spiega a PORTO&interporto il presidente della Federazione, Mario Mattioli. «WSense nasce come startup innovativa che ha sviluppato un sistema per la propagazione del wifi anche sotto la superficie del mare. Un’applicazione che va al di là della sua mera funzione di mezzo per mettere in comunicazione infrastrutture critiche e che apre innumerevoli possibilità di sviluppo». 
La tecnologia rivoluzionaria brevettata da WSense può essere sfruttata per la cybersecurity subacquea: «attraverso un sistema di sensori è già oggi possibile rilevare attacchi terroristici o sabotaggi ai cavi sottomarini, come nel caso degli incidenti verificatisi recentemente in Nord Europa» spiega Mattioli. Ma la capacità di trasmettere dati ad alta velocità sott’acqua si presta anche a benefici inaspettati, «come il monitoraggio e il ripopolamento della flora e della fauna marina nelle aree protette, così come di tutte le attività legate alla pesca». 
«Abbiamo ritenuto opportuno creare questo nuovo link con l’ecosistema che rappresentiamo perché crediamo che solo attraverso una sinergia completa e trasparente si possa perseguire l’interesse comune dell’Italia, il cui sviluppo economico dovrà sempre più legarsi alle attività della blue economy». 
Una sinergia che la Federazione sta perseguendo con tutti gli attori legati alla dimensione subacquea – dalla Marina Militare a Fincantieri, dal RINA a Leonardo, solo per fare un esempio – senza trascurare gli ambiti “più tradizionali” in cui si è finora adoperata. 
 Con la nuova organizzazione in comitati specifici (decarbonizzazione, geopolitica, semplificazione, capitale umano, ESG e inclusione di genere) l’associazione è riuscita nell’ultimo biennio ad avvalersi di professionisti esterni che hanno contribuito ad arricchire l’analisi e le soluzioni da proporre per lo sviluppo del comparto. 
«In tema di combustibili, questione quantomai delicata per gli armatori, abbiamo cominciato a ragionare non solo sulle alternative disponibili: LNG, ammoniaca, idrogeno – ma anche sulle prospettive legate ai minireattori nucleari. A breve presenteremo uno studio, in collaborazione con l’Università di Napoli sulle strategie da poter mettere in campo» sottolinea Mattioli. 
Ma le questioni affrontate con la stessa impostazione, basata sulle competenze specifiche e una visione multidisciplinare, sono varie e spaziano dalla semplificazione burocratica: «potremmo recuperare 90 miliardi, pari a due finanziarie, da destinare allo sviluppo del sistema Paese» - alla formazione: «l'industria marittima soffre di un marcato “mismatch” tra le competenze richieste e quelle disponibili. Il comitato specifico si impegna a colmare questo divario, promuovendo una formazione più innovativa e allineata alle esigenze del mercato» - all’empowerment femminile, caratterizzato da una stretta collaborazione con associazioni come WISTA (Women in Shipping and Trading Association). 
«La Federazione del Mare, d’altronde, non agisce da sola. La sua forza risiede nelle numerose sinergie con attori chiave del sistema Paese, passando per le associazioni di categoria, gli enti di ricerca e le università. Di particolare rilievo sono anche le collaborazioni con i cluster marittimi europei e nordafricani che mirano a esportare il know-how italiano e a sostenere lo sviluppo di questi Paesi, in linea con l'importanza strategica del continente africano».



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