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SETTEMBRE 2022 PAG. 44 - SCT pronta per le opportunità del nuovo ciclo economico

 



«Lo shipping internazionale si avvia verso l’apertura di una nuova fase con il progressivo riassestamento del livello dei noli. Non si ritornerà di certo ai livelli pre-pandemici, quando di fatto le compagnie viaggiavano con livelli bassissimi di redditività se non in perdita. Ma una “nuova normalità” è dietro l’angolo. E con essa l’apertura di nuove opportunità per i porti che saranno in grado di interpretare al meglio le caratteristiche del prossimo ciclo economico». Agostino Gallozzi, presidente di SCT – Salerno Container Terminal, analizza in questi termini lo “stato delle cose” marittime. Al netto di un autunno incombente in cui la crisi energetica e le misure che saranno introdotte per assorbirne le conseguenze potrebbero influenzare in maniera determinante l’andamento dei traffici. 

Come sta evolvendo il panorama dello shipping?

La stagione degli extra-profitti ha di fatto ingessato il mercato marittimo per quasi un biennio, inducendo i principali player a non sperimentare soluzioni alternative. Oggi il riequilibrio di una serie di fattori eccezionali per durata e quantità, dal picco dei noli alla saturazione della capacità di stiva, per citarne solo alcuni, alimenta la disponibilità a modificare i servizi. Credo che per la fine dell’anno si registrerà una certa variabilità delle rotte, frutto di una diversa ricombinazione dei mercati. Di fatto fino ad oggi si sono privilegiati i porti base, fenomeno che, tra l’altro, ha permesso l’emergere di servizi ad hoc lanciati da operatori logistici o dagli stessi produttori. Sarà interessante capire se con i nuovi assetti che vedono una maggiore mobilità dei grandi player risulteranno ancora remunerativi.        

Cosa comporterà questa nuova fase per i terminal portuali?

Per una realtà come SCT, unico terminal “conto terzi” del sistema portuale campano, si aprono interessanti prospettive di acquisire nuovi traffici. Dopo il congelamento generalizzato dell’attività di marketing and sales, dovuto alla scelta delle grandi compagnie di concentrarsi sostanzialmente sui terminal di proprietà, siamo pronti a cogliere la sfida con una serie di novità. L’acquisizione dell’intera attività container del porto di Salerno, intanto, rende possibile la razionalizzazione degli spazi a disposizione e una maggiore efficienza operativa. Il completamento dei lavori sui pescaggi, a meno 14,5 metri, e l’allargamento dell’imboccatura dello scalo, permetteranno l’attracco di unità fino a 380 metri. Il tutto completato dagli investimenti in equipment, continuati anche nel periodo di pandemia, con le nuove gru in grado di lavorare fino alla 22esima fila. 

Teme l’impatto del rincaro energetico sull’attività portuale?    

L’attività sulle banchine dipende, anzi, è parte integrante, della capacità di produzione di un paese manifatturiero come l’Italia votato all’export. Se i costi maggiorati dell’energia avranno effetti sui processi di trasformazione industriale è logico aspettarsi un rallentamento della produzione e dei consumi e con essi sui volumi di traffici. Molto dipenderà anche dalle misure che saranno introdotte per tutelare cittadini e aziende da un fenomeno evidentemente speculativo. Di fatto gli extra-profitti di cui tanto si parla altro non sono che un enorme shift di ricchezza che viene sottratta al ciclo economico reale.  

Intanto SCT ha investito 1,5 milioni per la realizzazione del PCF del porto di Salerno…    

Uno dei grandi problemi di chi fa impresa è il disallineamento dei tempi pubblici con quelli del mercato. In un’economia globalizzata, dai ritmi velocissimi e sostanzialmente non sotto il nostro diretto controllo la competitività si gioca sui tempi. E la lentezza degli interventi pubblici agisce come un freno a mano tirato. In alcuni casi è il privato, volente o nolente, a doverci mettere mano. È già capitato negli anni scorsi a SCT di dover provvedere all’illuminazione della diga foranea per garantire l’accessibilità allo scalo anche nelle ore notturne. Si è ripetuto più recentemente quando a seguito di una verifica dei funzionari europei la mancanza di un Posto di Controllo Frontaliero il porto di Salerno ha visto mettere a rischio le importazioni di prodotti alimentari e vegetali destinati a uso umano. 

Come funzionerà?

È una struttura che consegneremo in comodato d’uso gratis, chiavi in mano, ai tre soggetti coinvolti nei controlli sanitari e alla dogana. A disposizione della comunità portuale ci saranno celle frigorifero in grado di contenere l’intero contenuto di un container in modo da rendere possibile le verifiche sul suo contenuto. Ora si apre la fase operativa per ottenere il cosiddetto “one stop shop”. L’obiettivo, in effetti, nel è ridurre i controlli per accelerare i tempi ma farli tutti in modo efficiente e veloce perché concentrati nello stesso punto. 

In questi mesi è andato avanti anche il progetto women at work…

L’iniziativa nasce da una consapevolezza precisa: la sostenibilità si gioca anche sul piano sociale e, specialmente nei porti, il tema della parità di genere non è mai stato affrontato in modo concreto. Dopo le prime fasi, con le presentazioni delle manifestazioni di interessi e le interviste, siamo oramai vicini alla selezione delle cinque donne che formeremo e assumeremo nei nostri ranghi. Tra l’altro, lo stesso Pnrr fa riferimento al riequilibrio dei generi sul posto di lavoro perché in Italia la presenza femminile è scarsamente rappresentata ed è un problema enorme. 

Sul versante della sostenibilità ambientale?

SCT ha visto approvato dall’AdSP il suo piano per la realizzazione del terminal a emissioni zero. Ad oggi con l’energia fornita dalla rete siamo in grado già di “elettrificare” una delle sei gru previste dal progetto originario. Il traguardo che ci siamo prefissati è di poter operare con questa modalità a partire dal 2023 con un mezzo sul lato di levante della banchina del molo trapezio. In attesa del potenziamento della rete esterna continuiamo negli investimenti in mezzi. L’anno prossimo sarà il turno di sei reachstaker, macchine speciali in grado di raggiungere la sesta fila in altezza. Perché in un porto con pochi spazi solo in altezza si può crescere per essere più performanti.  

A questo proposito era stata lanciata l’idea dei terminal satelliti…

È un progetto in cui crediamo ancora molto. Dopo la struttura operativa di Castel San Giorgio siamo alla ricerca, in direzione nord ed est, di aree adatte. Servono almeno 30mila metri quadrati di estensione ma finora la parcellizzazione del territorio ha reso complicata l’operazione. Di certo rimane valido l’obiettivo di integrare al massimo il sistema trasportistico con quello industriale nell’ottica di sfruttare i crocevia interni dei flussi container in import ed export.  

Lo sviluppo delle ZES potrebbe accelerare questa strategia?

In linea di principio si. A parità di noli la differenza di competitività non si gioca sulla tratta marittima ma nel trasferimento terrestre. Più la produzione è vicina ad un porto più diventa concorrenziale sui mercati internazionali. Da qui l’idea di insediare le ZES in prossimità delle aree portuali, fornendo un pacchetto insediativo in termini di agevolazioni fiscali e normative capaci di invogliare in particolare investimenti dall’estero. Ma anche in questo caso ci siamo trovasti di fronte al disallineamento di cui si parlava prima. Lo strumento è giusto ma ancora non si vedono risultati. Anche perché, in questa iniziativa, come in altre, manca un ingrediente fondamentale come il marketing territoriale. Per aiutare il Paese a crescere e a superare questa sua insipienza servirebbero più persone, preparate e competenti, disposte a prendere la valigia e a spiegare le eccellenze che, nonostante tutto, fanno dell’Italia una delle potenze industriali del mondo.

Giovanni Grande

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