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APRILE 2023 PAG. 66 - La Cina regina dei prestiti di emergenza ai paesi in crisi

 



La Cina emerge sempre più come prestatore di ultima istanza per i Paesi in via di sviluppo che hanno difficoltà a ripagare i debiti della Belt and Road Initiative (BRI). Secondo un nuovo studio condotto dai ricercatori di AidData, della Banca Mondiale, della Harvard Kennedy School e del Kiel Institute, Pechino ha aumentato drasticamente i prestiti di emergenza a favore di mutuatari sovrani in difficoltà finanziarie o in stato di default.

Da un’analisi basata su un ampio set di dati emerge che, alla fine del 2021, il paese asiatico aveva intrapreso 128 operazioni di prestito di salvataggio a favore di 22 Paesi debitori per un valore di 240 miliardi di dollari. Queste operazioni includono molti cosiddetti “rollover”, in cui gli stessi prestiti a breve termine vengono prorogati più volte per rifinanziare gli impegni in scadenza. 

Nel 2010, meno del 5% del portafoglio di prestiti all’estero di Pechino era destinato a Paesi in difficoltà, ma questa percentuale è salita al 60% nel 2022. Ad una crescente ondata di sofferenza sul debito il Dragone ha risposto abbandonando i prestiti per progetti infrastrutturali e aumentando le operazioni di sostegno alla liquidità. Quasi l’80% dei prestiti di emergenza è stato erogato tra il 2016 e il 2021.

Lo studio “China as an International Lender of Last Resort” è stato redatto da Sebastian Horn della Banca Mondiale, Brad Parks, direttore esecutivo di AidData e professore di ricerca alla William & Mary, Carmen Reinhart, ex capo economista del Gruppo Banca Mondiale e attuale professore alla Harvard Kennedy School, e Christoph Trebesch, direttore del Kiel Institute for the World Economy.

Secondo gli autori, Pechino non offre salvataggi a tutti i mutuatari BRI in difficoltà: ai Paesi a basso reddito viene generalmente offerta una ristrutturazione degli oneri che prevede un periodo di sospensione o una proroga della data di rimborso finale, ma non nuovi fondi; i Paesi a medio reddito tendono invece a ricevere nuovi fondi - attraverso il sostegno alla bilancia dei pagamenti - per evitare o ritardare il default.

Le banche cinesi hanno interesse a garantire che i loro maggiori mutuatari esteri siano sufficientemente liquidi per continuare a servire i debiti in sospeso dei progetti BRI. I Paesi a medio reddito, che rappresentano l’80%, ovvero più di 500 miliardi di dollari, del totale dei prestiti cinesi all’estero, presentano rischi di bilancio importanti, per cui le banche cinesi sono incentivate a tenerli a galla tramite salvataggi. I Paesi a basso reddito, che rappresentano solo il 20% del totale dei prestiti cinesi all’estero, sono meno importanti per la salute del settore bancario e raramente vengono salvati.

“Pechino sta cercando di salvare le proprie banche. Ecco perché si è lanciata nel rischioso business dei prestiti internazionali per il salvataggio”, ha spiegato Carmen Reinhart, una delle autrici dello studio. “Ma se si intende salvare un mutuatario in default o sull’orlo del default, è importante capire chiaramente se si sta cercando di risolvere un problema di liquidità a breve termine o un problema di solvibilità a lungo termine”.

Gli autori dello studio rilevano che la Cina ha incanalato i fondi di salvataggio verso Paesi con bassi livelli di riserve valutarie e rating sovrani deboli. Ad oggi, ha intrapreso operazioni di prestito di salvataggio in 22 Paesi, tra cui Argentina, Bielorussia, Ecuador, Egitto, Laos, Mongolia, Pakistan, Suriname, Sri Lanka, Turchia, Ucraina e Venezuela.

Dai dati emerge inoltre che i prestiti di Pechino in situazioni di emergenza non sono affatto economici: mentre un tipico prestito di salvataggio del Fondo Monetario Internazionale (FMI) ha un tasso di interesse del 2%, il tasso di interesse medio legato a un prestito di salvataggio cinese è del 5%.

“I nostri risultati danno chiare tendenze per il sistema finanziario e monetario globale, che vediamo diventare sempre più multipolare, meno istituzionalizzato e meno trasparente” ha sottolineato Christoph Trebesch. “Vediamo chiari parallelismi storici con il periodo in cui gli Stati Uniti hanno iniziato la loro ascesa come potenza finanziaria globale, a partire dagli anni ‘30 e soprattutto dopo la Seconda Guerra Mondiale”.

Un altro dato fondamentale emerso dallo studio è che la rete globale di linee di swap supervisionata dalla banca centrale cinese - la People’s Bank of China (PBOC) - è diventata uno strumento sempre più importante per la gestione delle crisi all’estero. Nel 2022, la PBOC ha utilizzato la sua rete di linee per fornire 170 miliardi di dollari di sostegno alla liquidità di emergenza alle banche centrali di tutto il mondo.

Questi prestiti, in particolare, stanno facendo emergere la necessità di nuovi criteri di sorveglianza per le agenzie di rating del credito e le istituzioni internazionali che monitorano l’adeguatezza delle riserve valutarie e i livelli di esposizione al debito pubblico. Quasi tutti i prestiti della PBOC sono inizialmente destinati a essere rimborsati entro 3-12 mesi. Tuttavia, molte banche centrali vedono ripetutamente prorogate le date di rimborso finale. Secondo lo studio il periodo di rimborso de facto del prestito medio della linea swap della PBOC è di 40 mesi dopo aver tenuto conto dei “rollover seriali”. La discrepanza tra le scadenze di diritto e di fatto ha reso più facile per i governi non riconoscere i prestiti della linea swap della PBOC come fonti di esposizione al debito pubblico, dal momento che le regole di rendicontazione internazionale richiedono solo la comunicazione dei debiti pubblici con scadenze superiori a un anno.

Il report evidenzia anche un’altra questione controversa: la possibilità che le banche centrali utilizzino i prelievi dalla linea swap della PBOC (non dichiarati) per gonfiare artificialmente i numeri delle loro riserve valutarie. Se un mutuatario può utilizzare le linee della PBOC per rimborsare i debiti denominati in dollari e in euro, tali prelievi possono essere particolarmente utili in caso di crisi della bilancia dei pagamenti o del debito. Tuttavia, se un mutuatario può utilizzare la liquidità in renminbi della linea swap della PBOC solo come “window dressing” per rafforzare le riserve valutarie lorde, allora la sua posizione di riserva netta e la sua capacità di servire il debito denominato in dollari e in euro rimangono invariate. 

“Saranno necessarie molte altre ricerche per misurare l’impatto dei prestiti di salvataggio della Cina, in particolare delle grandi linee di swap amministrate dalla PBOC” ha sottolineato Brad Parks. “Pechino ha creato un nuovo sistema globale per i prestiti di salvataggio transfrontalieri, ma lo ha fatto in modo opaco e non coordinato. Il suo approccio strettamente bilaterale ha reso più difficile il coordinamento delle attività di tutti i principali prestatori di emergenza, il che è preoccupante perché la risoluzione delle crisi del debito sovrano richiede solitamente un certo livello di coordinamento tra i creditori”.

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