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DICEMBRE 2023 PAG. 72 - Il commercio globale tra rotte brevi e rotte lunghe

 


Il trasporto marittimo globale continua, come gli studi di SRM dimostrano, a confrontarsi con molteplici sfide, tra cui l’inasprimento delle politiche commerciali e le tensioni geopolitiche. Sullo sfondo della pandemia di covid 19 che ancora lascia strascichi, gli eventi geopolitici - come la guerra in Ucraina, le tensioni Stati Uniti - Cina, e il recente conflitto Israele-Hamas - stanno avendo un indubbio impatto sui traffici. Traffici che indubbiamente seguono e accompagnano stabilmente l’attività d’impresa visto che il 90% della movimentazione di beni del mondo avviene via mare.

Pertanto, in risposta alle conseguenti interruzioni dell’approvvigionamento, e ai cambiamenti degli scenari geoeconomici, le imprese si concentrano sul miglioramento della loro resilienza a lungo termine, con l’obiettivo di difendersi dagli shock futuri. 

Attraverso modifiche alle operazioni commerciali le aziende si sforzano di trarre vantaggio da attività in crescita. Il Fondo Monetario Internazionale prevede che il volume del commercio mondiale di merci aumenterà del 3% nel 2023 e al 2,9% nel 2024, rispetto al 3,5% nel 2022 (World Economic Outlook Ottobre 2023). L’inflazione globale dovrebbe diminuire costantemente, passando dall’8,7% nel 2022 al 6,9% nel 2023 e al 5,8% nel 2024. Quindi, nonostante tutte le perturbazioni, ci sono ancora opportunità di crescita. In questo contesto il commercio marittimo globale aumenterà del 2,4% (a 12,027 miliardi di tonnellate) nel 2023. 

Ma cosa cambia veramente per adattarsi alle mutate esigenze di scenario? 

Mentre risulta ancora circoscritto l’effetto del conflitto Israele-Hamas, uno dei primi cambiamenti provocati dalla guerra Russia-Ucraina è stato l’allungamento delle distanze globali nella movimentazione soprattutto di Oil&Gas e grano vs. nuovi paesi. 

Le restrizioni imposte al commercio del greggio hanno ridotto la quota della Russia nelle importazioni dell’UE; al contrario, sono salite le importazioni di petrolio da alcuni paesi del Medio Oriente e Nord Africa quali Iraq, Kazakistan, Libia, Nigeria, Arabia Saudita, ma anche da Norvegia, Regno Unito e Stati Uniti. D’altro canto, sono aumentate le esportazioni di petrolio e prodotti petroliferi dalla Russia verso destinazioni alternative più lontane (tra cui Cina, Medio Oriente, India, Turchia, Africa e America Latina). Anche per il gas si è assistito ad un forte cambiamento dei modelli commerciali: i Paesi europei si sono rivolti ad altri fornitori, tra cui l’Algeria e Stati Uniti, per compensare la perdita delle forniture dalla Russia. Quest’ultima rappresentava il 40% della fornitura europea nel 2021 mentre si attesta a meno del 14% nel 2° trimestre del 2023. I flussi di gas naturale liquefatto (GNL) via mare hanno sostituito in parte il gas proveniente dai gasdotti, con un incremento del 3,3 % in tonnellate e 4,2% in tonnellate-miglia nel 2023 e i costi energetici totali (diretti e indiretti) per le famiglie sono aumentati tra il 63% e il 113% nell’anno successivo all’inizio della guerra in Ucraina (UNCTAD 2023).

Il conflitto ha cambiato anche i modelli commerciali dei prodotti alimentari. La riduzione delle esportazioni di grano dall’Ucraina è stata in parte compensata dall’aumento delle spedizioni da parte di altri fornitori esistenti, come Australia, Brasile e Canada.

L’Africa rappresenta un caso emblematico della riconfigurazione delle rotte del grano. Le importazioni dall’Ucraina sono diminuite del 14,9% nel 2022, costringendo molte economie africane a ricorrere ad altre fonti. 

A questi fenomeni che caratterizzano le rotte lunghe si aggiungono quelli di rotte brevi spinti dalle misure protezionistiche che stanno causando alcuni spostamenti nelle catene di approvvigionamento e da una nuova riconfigurazione della produzione in Asia che impatta significativamente sul trasporto dei container. La Cina, difatti, continua a fungere da riferimento nella produzione globale, quello che cambia però è la crescente partecipazione di altri diversi paesi dell’Asia orientale (quali Vietnam, Bangladesh, India) nelle catene del valore regionali e globali comportando l’incremento dell’attività intra-Asia. Ad esempio, diverse multinazionali, come Apple, Samsung, Sony e Adidas, hanno spostato alcune attività produttive dalla Cina al Sud-Est asiatico, anche a causa del costo del lavoro e di considerazioni sulla gestione del rischio (UNCTAD, 2023). Pertanto, le distanze del traffico container hanno registrato una “tendenza ad accorciarsi” per effetto dell’intensa attività intra-Asia e dello sviluppo del feederaggio nelle altre aree regionali. In altre parole, la produzione resta in Cina o comunque nell’East Asia spostandosi da qui via mare prima su rotte lunghe fino ai principali porti di transhipment lungo la rotta Asia-Europe e poi attraverso navi feeder raggiungendo altre destinazioni ma le catene di produzione restano sostanzialmente le stesse… mentre ci appaiono più evidenti e sostanziose le rotte SSS.  

In questo caso l’impatto sulla riconfigurazione delle rotte marittime è in direzione dell’accorciamento, della regionalizzazione. E pertanto si assiste a fenomeni di backshoring della produzione in una gamma più ampia di località e di partner commerciali; che vanno dal rientro in patria della produzione (reshoring); alla delocalizzazione della produzione in Paesi vicini e più vicini al mercato nazionale (nearshoring) o in paesi altamente affidabili che condividono valori e strategie comuni (friend-shoring). 

Anche secondo il report Trade in Transition 2023 di DP World, la tendenza a portare le catene di fornitura più vicine a “casa” è aumentata: secondo tale indagine il nearshoring/regionalizzazione si è incrementato di 8 punti percentuali e il reshoring di 10 punti percentuali nelle strategie aziendali tra il 2021 e il 2022. Le ragioni di questo spostamento sono molteplici dai fenomeni inflattivi, ai costi di trasporto, all’approfittare di vantaggi degli incentivi finanziari governativi. Anche se, resta detto, che la tattica predominante delle aziende è la diversificazione dei mercati.

Con l’intensificarsi delle tensioni geopolitiche e del ritorno al protezionismo si sta dunque diffondendo il dibattito sul futuro della globalizzazione. Le strategie evidenziate pongono in evidenza una nuova forma di commercio estero ma non portano necessariamente a un ritiro dalla globalizzazione piuttosto ad una sua modifica. Dopo tutto, la strada più sensata per affrontare gli shock sul lato dell’offerta è la diversificazione e la diffusione del rischio.

Ma c’è anche la svolta ambientale da considerare. L’incremento dell’attività marittima potrebbe comportare un aumento delle emissioni di gas serra (GHG). 

Il trasporto marittimo internazionale responsabile del 2,8% di tutte le emissioni globali di gas serra e del 2,2% delle emissioni di CO2. La decarbonizzazione del settore richiede grandi investimenti: entro il 2050 potrebbero essere necessari interventi per complessivi 3 trilioni di dollari.

Altro fenomeno che potrebbe incidere sul cambiamento di rotta in particolare nell’area Euro-Mediterranea è l’applicazione del sistema ETS. L’iniziativa europea prevede difatti l’estensione del sistema di scambio di quote di emissione dell’Ue (ETS o Emission Trade System) anche al trasporto marittimo, il cui testo finale è entrato ufficialmente in vigore i primi giorni di giugno di quest’anno, stabilendo l’inizio degli obblighi ETS per il settore shipping al 1° gennaio 2024. Il sistema prevede l’applicazione di una “carbon tax” per compensare le emissioni di CO2 inizialmente delle navi di stazza lorda superiore a 5mila tonnellate lorde, indipendentemente dalla bandiera che battono. Le compagnie armatoriali dovranno pagare per tutte le emissioni delle navi che fanno scalo in un porto dell’Ue per viaggi intra-Ue e per il 50% delle emissioni derivanti da tratte internazionali che iniziano o terminano al di fuori dell’Ue (viaggi extra-Ue), ed inoltre per tutte le emissioni che si verificano quando le navi sono ormeggiate nei porti comunitari.

Tutto questo sta avendo un effetto sul Mediterraneo? 

Da una parte l’acuirsi e l’accendersi dei conflitti lato Mediterraneo comporta l’aumentare delle problematiche, l’introduzione dei sistemi di scambio di emissioni pure potrebbe incidere sulle rotte. 

Inoltre, va detto che nuovi modelli commerciali si specchiano anche nei transiti attraverso il Canale di Suez che nei primi 10 mesi del 2023 ha visto aumentare i passaggi di navi a circa 21.600 imbarcazioni con un incremento a doppia cifra sull’analogo periodo dell’anno precedente (13%).

Va ricordato poi che Suez si attesta quale snodo strategico per i traffici nel Mediterraneo rappresentando il 12% del traffico mondiale e circa il 5% del traffico di greggio, il 10% dei raffinati e l’8% del GNL. 

Le navi cisterna in termini di dwt sono aumentate del 50% su base annua e di quasi il 100% rispetto ai livelli “pre-Covid” del 2019, per effetto dell’aumento delle importazioni europee dal Medio Oriente e delle esportazioni russe verso l’Asia.

Inoltre, i decision maker delle supply chain si trovano ad affrontare la carenza d’acqua nel Canale di Panama, che causa ritardi nelle spedizioni e ridotta flessibilità. Di conseguenza, alcuni si rivolgono a rotte alternative come il Canale di Suez che vede crescere la sua strategicità anche lato flussi verso USA. Anche il trasporto per vie d’acqua interne in tutto il mondo è influenzato dallo stress idrico.

In conclusione, i nuovi cambiamenti attesi nei processi di produzione e di trasporto si fanno via via più complessi. Rotte brevi si alternano e si sommano a rotte lunghe per servire strategie di imprese che divengono più resilienti e si adattano alle nuove esigenze dei consumatori. Le imprese diversificano le strategie per competere al meglio e le logiche di trasporto si adattano. Il tutto in una nuova logica di mercato che mira ad essere sempre più sostenibile.

Olimpia Ferrara 
Senior Researcher Maritime Economy, SRM
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