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AGOSTO 2023 PAG. 38 - Nauru e la silenziosa guerra sull’estrazione dei minerali sottomarini

 



La piccola isola del Pacifico di Nauru non è mai al centro dell’attenzione mediatica quotidiana eppure per gli esperti di geopolitica è divenuta un centro vitale per l’analisi delle prossime strategie energetiche e infrastrutturali della comunità internazionale.  Questo minuscolo stato micronesiano potrebbe aver aperto le porte a una rivoluzione che rischia di essere ricordata a lungo: l’inizio dello sfruttamento minerario dei fondali oceanici. Nel 2021, il governo chiese ufficialmente all’International Seabed Authority, l’organismo fondato dalle Nazioni Unite per controllare tutte le attività connesse ai minerali presenti nei fondali marini internazionali, di velocizzare il processo decisionale in merito ai regolamenti che dovranno normare le attività minerarie sui fondali oceanici da parte dei soggetti privati. Lo stato insulare di Nauru vuole risollevare la propria economia con l’estrazione di terre rare dai fondali ma l’impatto ambientale e le conseguenze sulla biodiversità marina sono tutte da verificare. L’International Seabed Authority si è recentemente riunita e ha deciso di rinviare al 2025 la decisione sulle richieste di Nauru. Molti attivisti hanno salutato positivamente tale scelta sebbene gli esperti di geopolitica ribadiscono che non è stato deciso nulla e che semplicemente si tratta di uno slittamento temporale che non rassicura sul futuro dello sfruttamento dei minerali sottomarini. A Nauru l’unico metodo possibile per sfruttare tali minerali è il cosiddetto deep sea mining, cioè l’estrazione mineraria dai fondali marini. Semplificando, si calano sott’acqua giganteschi macchinari che risucchiano dal fondo dell’oceano i noduli polimetallici, per poi convogliarli sulle navi in superficie dell’oceano. I noduli vanno separati dai sedimenti e dall’acqua di mare; quest’ultima viene poi pompata nuovamente sul fondale. Per risollevare le sorti di un paese sostanzialmente privo di risorse e divenuto poverissimo nell’arco degli ultimi decenni, le istituzioni di Nauru non sono intenzionate a fermarsi e attraverso il sostegno della compagnia mineraria nordamericana The Metals Company vogliono continuare a far pressione sulla comunità internazionale per avviare l’estrazione dei minerali e delle terre rare dai fondali sottomarini. La Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare dice infatti che, dal momento in cui un paese chiede di iniziare le operazioni minerarie in profondità, l’ISA ha due anni di tempo per finalizzare un testo che regoli queste attività. 

Le nuove tecnologie, dai telefoni cellulari e i computer alle batterie per i veicoli elettrici e lo stoccaggio di energia, hanno creato un’infinita domanda di cobalto, nichel, rame, manganese e terre rare: tutti da trovare in grandi quantità nei “noduli polimetallici” su alcune parti del fondo del mare profondo. A Nauru, l’ex presidente Lionel Aingimea e l’attuale presidente Russ Kun, stanno decidendo del futuro di 75.000 kmq di fondali nella zona Clarion-Clipperton del Pacifico settentrionale, tra le Hawaii e il Messico, per iniziare a estrarre entro un paio d’anni. I grandi gruppi industriali scrutano ciò che accade sostenendo concretamente o velatamente il governo dell’isola del Pacifico. Più di 450 esperti di scienze e politiche marine di 44 paesi hanno risposto all’iniziativa di Nauru firmando una dichiarazione che chiede una moratoria immediata sull’estrazione in acque profonde. I più grandi paesi regionali come Papua Nuova Guinea e Fiji hanno chiesto una pausa precauzionale alle attività minerarie in alto mare. Il Paese che si sta battendo con determinazione contro l’avvio delle attività sottomarine è il Costa Rica. Costa Rica chiede l’adozione di un quadro normativo internazionale che integri le necessarie tutele ambientali, partendo dal presupposto che i “fondali marini e le risorse sottomarine costituiscono un Patrimonio Comune dell’Umanità” e il loro sfruttamento deve avvenire in un contesto economico di reciproca crescita, garantendo protezione all’ambiente marino, al suo ecosistema, alla flora e alla fauna marina. 

Gina Guillén, ambasciatrice della Costa Rica in Giamaica e direttore degli Affari esteri del Ministero degli Affari esteri della Costa Rica, ha tenuto un discorso emozionante, richiamando l’attenzione internazionale al rigoroso rispetto dell’ambiente per garantire prosperità e bellezza alle future generazioni, chiedendo un regolamento giuridico internazionale per non iniziare lo sfruttamento minerario sottomarino senza le dovute conoscenze scientifiche. L’ambasciatrice ha relazionato durante i lavori dell’ISA a nome di ben 14 Paesi: Brasile, Canada, Cile, Costa Rica, Finlandia, Francia, Germania, Monaco, Nuova Zelanda, Panama, Portogallo, Repubblica Dominicana, Svizzera e Vanuatu. 

La caratura diplomatica dell’ambasciatrice è stata confermata anche dalle numerose adesioni all’appello del Costa Rica per la tutela dei fondali sottomarini che nel mese di luglio del 2022 incassò il sostegno di Fiji, Palau, Samoa, Spagna, Ecuador, Micronesia, Irlanda e Svezia.

Domenico Letizia

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