Header Ads

AGOSTO 2023 PAG. 48 - Possible future wars La palingenesi dell’attuale guerra economica tra vecchie e nuove potenze talassocratiche

 



Come si è avuto modo di sostenere più volte fare analisi e proiezioni nel mondo della geopolitica è davvero un lavoro arduo e non solo per l’enorme quantità dei dati da elaborare, ma anche e soprattutto per le continue e incessanti accelerazioni che modificano ininterrottamente un mondo in continuo divenire. Sviluppo tecnologico, incertezza del mondo finanziario, marittimizzazione del sistema finanziario mondiale e la continua guerra economica e no, tra potenze dominanti e quelle emergenti, vanno a completare un quadro assai complesso ed articolato. Per cui non sorprende minimamente come alcune proiezioni geopolitiche possano risultare efficaci e veritiere solo nel breve periodo per poi essere sconfessate nel lungo. Naturalmente tale processo vale anche per il senso inverso. 

Orbene tale dimensione liquida in continuo divenire impedisce anche di creare una esatta lista dei fattori predominanti per una corretta analisi geopolitica. Guerra in Ucraina, la misteriosa morte del generale della Wagner Prigozhin, l’eccesso di offerta che i mercati non riescono ad assorbire, la crisi del ceto medio nel mondo occidentale, la scalata delle altre monete al dominio del dollaro, conseguenza diretta della creazione delle nuove rotte mondiali, fanno sì da rendere il lavoro del geopolitico assai difficoltoso. Per cui si cercherà di fare un pochino di chiarezza tenendo molto ben presente la massima di Ottone von Bismark applicandola alla geopolitica secondo la quale la politica non è una scienza, essa è l’arte del possibile, ma i tempi cambiano e nel nostro caso questi ultimi mutano ad una velocità mai vista in precedenza nella storia dell’intera umanità. Per comodità di analisi partiremo proprio dal conflitto europeo ossia quello attualmente in corso tra Russia e Ucraina. Naturalmente il nostro intento non è quello di analizzare le ragioni che hanno portato al conflitto, ma le conseguenze geoeconomiche e geopolitiche nel presente e nel prossimo futuro. L’unico dato difficilmente controvertibile è che, come era facilmente intuibile questo conflitto, una volta arrestata l’avanzata russa avrebbe assunto un carattere di uno scontro d’attrito ossia una guerra destinata a durare anni se non decenni. Lo scarno successo della controffensiva delle forze ucraine destinata a terminare al nascere dei primi freddi e le recenti dichiarazioni del generale americano Mark Alexander Milley Capo dello Stato Maggiore Congiunto vanno in questa direzione. Da qui è chiaro che un maggior successo per le Forze Armate di Kiev è possibile solo con la discesa in campo di tutta la forza dell’apparato bellico americano e soprattutto della sua aviazione. Ipotesi che, per quanto possa essere desiderabile risulta degna dei più bei classici di fantascienza paragonabili ai capolavori di Giulio Verne e di Isaac Asimov. Infatti, per far questo gli Stati Uniti d’America dovrebbero smantellare il cordone contenitivo cinese nel sud-est asiatico che va dallo stretto di Malacca sino al Giappone per spostare aliquote importantissime di forze aeree in Ucraina. 

Al di là di questo aspetto puramente militare ci sarebbe quello ancor più stringente dal punto di vista internazionale che consisterebbe nella doverosa necessità da parte di Washington di dover dichiarare guerra alla Federazione Russa. Per cui non necessita avere l’acume e la sensibilità politica di Klemens von Metternich per comprendere che, mentre la Russia ha le risorse per continuare il conflitto Kiev necessita inevitabilmente del sempre più cospicuo aiuto occidentale. Naturalmente in questa analisi si comprende la totale inefficacia ed inadeguatezza dell’Unione Europea incapace di non far deflagrare il conflitto nel proprio giardino di casa. Gli unici che al momento possono dirsi vincitori sono proprio gli americani, i quali con il conflitto hanno ottenuto ben due risultati, ossia 1- l’interdizione delle materie prime (solo di GNL parliamo di oltre 155 miliardi di metri cubi all’anno) russe al mercato e al mondo industriale europeo (preoccupazione che Washington ha sempre avuto da Theodore Roosevelt in poi) 2- Il definitivo allontanamento della Russia dal mondo europeo per i prossimi trent’anni. Soprattutto il secondo punto, per quanto intimisticamente legato al primo, vanifica i più grandi successi del governo ventennale di Putin. Se da un lato aveva legato il vecchio continente alle forniture di materie prime russe dall’altro era riuscito dove anche Pietro il Grande, Alessandro II Romanov, Lenin e Stalin avevano fallito, ossia uscire dai Dardanelli e consolidarsi nel Mediterraneo levantino. In fondo la tanto decantata divisione Wagner serviva proprio a proiettare gli interessi di Mosca al di là dei propri limiti geografici senza però dover pagare il dazio del diritto e delle relazioni internazionali. Oltre alle vicende in Siria che gli hanno concesso l’utilizzo di due porti a scopo militare tra cui quello di Tartus (secondo porto siriano) Mosca in Africa ha forti interessi in Libia, Egitto, Sudan (dove ha acquisito Porto Sudan che controlla il Mar Rosso centrale e l’ingresso a Suez da sud) Algeria, Repubblica Centraficana, Ghana, Camerun, Guinea, Nigeria, Ruanda, Angola, Zambia, Mozambico, Zimbabwe, Angola, Botswana, Madagascar e naturalmente Sud Africa. In molti di questi paesi è intervenuta anche militarmente adoperando proprio la famigerata brigata Wagner. Naturalmente con il conflitto in corso la proiezione russa nel Mediterraneo, luogo cruciale dello scambio commerciale mondiale, attualmente s’è molto ridimensionata. Tra gli aspetti eccezionalmente negativi va registrato il crescente deperimento del mercato europeo causato anche dalla totale assenza di una sua unitaria politica navale. Chi studia il mondo economico è ben cosciente che senza una vera e propria dimensione/proiezione marittima e navale si è destinati a divenire gregari e non certo protagonisti del mondo economico e quindi politico. Non di meno anche il tanto famigerato blocco economico occidentale non ha portato (e certo non poteva farlo) i frutti sperati. Mosca ha potenziato le proprie relazioni non solo commerciali, ma soprattutto economiche con le due potenze in ascesa ossia la Cina e l’India. Al di là che noi europei al momento compriamo NGL dall’India, il quale gli viene fornito ad un prezzo più che commerciale dalla Russia, quest’ultima sta per quanto embrionalmente, ma gradatamente intessendo sempre maggiori relazioni con l’antica rivale Cina anche grazie alla triangolazione con Mosca. Un elemento assai pericoloso poiché sarebbe impossibile il controllo dell’Indo-Pacifico da parte delle forze occidentali senza il poderoso apporto indiano. Se ciò non bastasse, come già trattato nel numero precedente, la Brics e i suoi componenti hanno lanciato la sfida non solo al mondo economico e dei trasporti mondiali, ma anche al dollaro come moneta di scambio internazionale. 

Alla cinque potenze emergenti della BRICS si sono aggiunte altre sei nazioni quali Argentina, Egitto, Etiopia, Iran e Emirati Arabi che entreranno a far parte del trade dal primo gennaio dell’anno prossimo come deciso dall’ultimo meeting annuale tenutosi a Johannesburg. Recentemente anche la Bolivia ha presentato richiesta per entrare nella BRICS, un trade che è capace di poter vantare oltre 3.7 miliardi di popolazione e quindi di consumatori. Un dato che legittimamente dovrebbe spaventare poiché stiamo passando in un periodo di crisi della classe media per la contrazione del potere d’acquisto degli stipendi, non solo in Italia, ma anche in molti altri paesi europei e poiché proprio il processo di globalizzazione intrinsecamente provoca una sovracapacità produttiva determinando un’offerta di gran lunga superiore alla potenzialità di assorbimento da parte della domanda. La continua ricerca tecnologica provoca sempre maggiori ritmi di produzione. Anzi proprio l’eccesso di domanda diviene un fattore strutturale dell’attuale sistema economico. Non ultima a rendere ancora più incerta la situazione geoeconomica è stata la scelta da parte dell’Unione Europea di una transizione energetica per decreto-legge. Ora considerando che l’Europa è uno dei continenti che produce il minor quantitativo di Co2 non si comprende la scelta dell’elettrico se non per svincolare il Vecchio Continente dalle forniture energetiche russe. Una scelta quindi di carattere politico che l’Europa ha imposto troppo frettolosamente poiché è ben noto che per una transizione energetica necessitano svariati decenni. La produzione dell’energia elettrica è ancora molto lontana dal fabbisogno necessario per i consumi attuali figuriamoci per riportare tutto il mondo del trasporto a quello elettrico. Per di più l’Italia è storicamente deficitaria nel campo energetico e mal ha reagito alla chiusura dei tanti impianti petroliferi in Adriatico e negli altri mari ampliando considerevolmente il suo deficit. Per cui l’Europa, e soprattutto l’Italia, ha bisogno di una vera e propria strategia energetica che possa supportare il comparto industriale e logistico nazionale. Ma anche in questa direzione i segnali non sono incoraggianti poiché è di qualche giorno fa la notizia del desiderio del ministro Antonio Tajani di voler privatizzare i porti per far cassa. In una economia che dipende totalmente da reti logistiche e dal processo di marittimizzazione vendere i porti è semplicemente folle. Per cui bisognerebbe subito attivare il Ministero del Mare con competenze significative. Non si può rilanciare l’economia nazionale senza una coerente riforma logistica, la quale deve essere opera dello Stato poiché i privati non ne avrebbero alcun beneficio ed interesse soprattutto in una dimensione globale così incerta e liquida. 

Alessandro Mazzetti

Immagini dei temi di Bim. Powered by Blogger.