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OTTOBRE 2023 PAG. 20 - La dimensione internazionale dei traffici priorità per i porti

 


Il Medioriente in fiamme complicherà ulteriormente il quadro internazionale entro cui deve muoversi il nostro sistema marittimo portuale. E per Pasquale Legora De Feo, presidente di Uniport, è proprio da qui che bisogna partire per individuare esigenze e soluzioni per rendere il sistema più competitivo. «Qualsiasi considerazione riguardo il settore marittimo portuale e della logistica, naturalmente imperniata sui porti, prioritariamente deve tenere in conto della prevalente dimensione internazionale dei traffici marittimi, della collocazione dell’Italia e del nostro sistema logistico in un contesto di dimensioni europee e di un’economia italiana, votata alla trasformazione e quindi dipendente dalle catene di approvvigionamento”. 

Quali sono i fenomeni di contesto con cui bisogna confrontarsi?

Dopo l’impatto fortissimo della pandemia, durante la quale i porti comunque hanno continuato ad operare e a garantire continuità ai sistemi economico e sociale, oggi ci confrontiamo con le conseguenze della guerra in Ucraina, le nuove tensione nell’area mediorientale e, in generale, con le l’attrito crescente tra Stati Uniti e Cina che stanno generando mutamenti geopolitici ed economici che alimentano il fenomeno della deglobalizzazione. Tutto ciò porterà sicuramente variazioni alle direttrici e alle rotte degli scambi commerciali. Bisogna essere reattivi, recuperare su diversi fronti: infrastrutture, ammodernamento e semplificazione normativa in generale, tecnologie, formazione. 

La maggiore criticità su cui lavorare?

La mancanza di una visione sistematica. Politiche ed interventi non vengono concepite in relazione alla più vasta e complessa rete logistica multimodale che innerva la penisola. Di fatto manca una visione di come si relazionano tra loro i porti e questi ultimi con la rete logistica ferroviaria e stradale e con i nodi a terra, interporti e retroporti. Senza dimenticare ZES e ZLS che potrebbero attivare un fattore moltiplicatore dei traffici. 

Sarà necessaria una nuova riforma portuale?

Andranno sicuramente affrontate le criticità della riforma Delrio che pur è stata caratterizzata da aspetti positivi. Ma ci sono concetti fondamentali che devono passare: abbiamo ben 16 enti portuali che fanno riferimento, in un modo o nell’altro, a 16 regolamentazioni differenti. Non è possibile muoversi in un contesto di tale frammentarietà nell’affrontare questioni rilevanti, non solo sotto l’aspetto economico, come gli investimenti e il rilascio delle concessioni.  

Cosa chiederebbe alla nuova normativa?

Finora si è assistito ad un dibattito poco chiaro. Il rischio è quello di impantanarsi nei discorsi da convegno. Per la parte che concerne imprese e terminalisti sicuramente l’intervento di riforma non può e non deve concludersi con una semplice modifica dell’architettura istituzionale delle attuali AdSP. Quale che sia la futura natura giuridica degli enti portuali, o dei loro organi, resta l’esigenza di restituire un ruolo effettivo alle rappresentanze degli operatori che oggi sono relegati in un ruolo di partenariato di dubbia utilità. Inoltre, a prescindere dall’assetto futuro del soggetto di amministrazione dei porti riteniamo da scongiurare l’ipotesi che il regolatore possa anche svolgere attività in concorrenza con i soggetti da esso regolati. C’è poi la questione burocratica. 

Dove intervenire?

Come accennavo prima c’è un sistema di sovrapposizione di regole, compiti, vincoli e competenze i cui nodi vanno sciolti a favore di una burocrazia sensibile alle esigenze di sviluppo e produttività che, a loro volta, possono creare ricchezza e occupazione sul territorio. Di certo non servirà creare nuove entità istituzionali o amministrative, considerando la commistione di competenze già esistente dalla compresenza di MIT, MEF, ART, AGCM, etc. O si fanno scelte nel senso della semplificazione anche su questo fronte, o il nostro sistema diverrà sempre meno performante e attrattivo anche per potenziali investitori. Si pensi al fallimento del tavolo di coordinamento nazionale delle AdSP. Esiste solo sulla carta. 

Sulla fluidità normativa quali sono le proposte concrete?

L’ambito di competenza dell’ente amministrativo deve essere chiaro e inequivocabile.  Su temi essenziali come rilascio delle concessioni, autorizzazioni, tutela sociale e sicurezza dei lavoratori, determinazione delle tasse e dei diritti marittimi, fino a tutti gli altri costi e obblighi che gravano sulle imprese bisogna dotarsi di strumenti di pianificazione e programmazione efficaci, al pari della certezza dei tempi di redazione degli atti. L’elenco delle cose da fare è lungo: assicurare tempi rapidi di realizzazione delle infrastrutture e in primo luogo degli escavi dei fondali; garantire la continuità agli interventi finalizzati al sostegno della formazione professionalizzante, anche dei dipendenti delle imprese ex artt. 16 e 18; dare attuazione e ulteriormente alimentare il fondo per l’incentivazione del prepensionamento dei lavoratori portuali, nonché qualificare come lavori usuranti specifiche figure professionali, con il duplice obiettivo di garantire un’organizzazione del lavoro più agevole e più elevati livelli di sicurezza. 

16 AdSP, ancora troppe?

È auspicabile un ridimensionamento del loro numero. Tra l’altro meno autorità portuali significherebbe rendere più semplice l’omogeneizzazione delle regole e la possibilità di coordinare una “politica logistica” realmente in linea con le esigenze del nostro sistema produttivo. Senza contare la possibilità di poter scegliere da rose più ristrette e competenti i presidenti di AdSP più adatti ai compiti da eseguire. 

Cosa non la convince nelle attuali figure dei presidenti? 

Parlo per esperienza personale, rispetto alle vicissitudini che alla guida di un terminal vivo quotidianamente a Napoli. Conoscere a fondo la macchina amministrativa dello stato è condizione necessaria ma non sufficiente per gestire un porto. A maggior ragione se parliamo di scali al servizio di un sistema produttivo vocato alla trasformazione e all’export come in Italia. Servono manager con grandi conoscenze dei flussi economici internazionali, con esperienze dirette dei sistemi portuali con cui dobbiamo confrontarci per accaparrarci i traffici. Africa, USA, Nord Europa, Cina sono l’orizzonte da cui si possono trarre insegnamenti importanti per fare bene in Italia. E ad oggi sono realtà frequentate e conosciute a fondo solo dal settore privato. Per gestire il rilancio del sistema logistico portuale italiano serve gente all’altezza della sfida. Altrimenti si rischia di vanificare il grande interesse, e le risorse, che la politica in questi ultimi anni ha dirottato sul nostro comparto.

Oltre la riforma, quali sono le altre priorità?       

Nell’attesa, sarà necessario affrontare a fondo il tema delle concessioni avviando al più presto un confronto tra MIT e rappresentanze degli operatori, almeno per intervenire sulle “linee guida”. Ci sono aspetti che non mi convincono. Ci sarà modo di parlarne prossimamente.   

Giovanni Grande

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