Assiterminal, verso un nuovo modello di rappresentanza
Quanto è lontano il momento in cui si parlerà con una sola voce?
Ad oggi è difficile pensare ad una ricomposizione dei vari soggetti. Anche se credo che molto potrebbe dipendere dall’assetto che uscirà dalla riforma portuale. Nel caso di un riorganizzazione strutturale si potrebbe cominciare a ragionare su come la rappresentanza debba adeguarsi di conseguenza. Il nostro mondo, d’altronde, non può pensarsi esente dalle sfide del cambiamento. In mancanza di documenti ufficiali sul futuro della portualità , ad ogni modo, il discorso è ancora acerbo.
In che modo immaginare un nuovo modo di pensare la rappresentanza?
Una delle strade scelte da Assiterminal è la trasversalità del dialogo. Spesso e volentieri, quando ci interfacciamo con le istituzioni, agiamo insieme a chi condivide le nostre posizioni oppure avanzando proposte comuni. Le criticità maggiori con cui il settore è chiamato a confrontarsi ci avvicinano più dei punti di differenziazione, che pure ci sono. Faccio un esempio. Il tema dell’autoproduzione prima o poi riemergerà . È chiaro che le nostre posizioni, incentrate su attività terminaliste per conto terzi, possano divergere da chi ha la rappresentanza delle realtà in conto proprio.
Il gioco vale la candela?
Secondo me, no. Di fatto sono distinzioni che afferiscono più alle opportunità di business che alle regole del gioco, che rappresentano la vera posta in palio per il mondo associazionistico. Ci sono aspetti di carattere generale, di applicazione dei principi, di rispetto della concorrenza che non possono diventare motivo di spaccatura. Fatto salvo il contesto comune che tutti devono rispettare, via libera alla competizione: se ci sono aspetti commerciali su cui un’azienda ha necessità di distinguersi, se la gioca separatamente.
Assiterminal ha avviato recentemente un tour nei porti italiani. Quali sono gli obiettivi di questa iniziativa?
La nostra finalità è andare sul territorio per parlare con gli operatori, rendersi conto delle problematiche ma anche delle opportunità delle singole realtà portuali. Vogliamo aprire ad uno scambio di idee, un momento di condivisione per avviare un dialogo con i nuovi commissari e presidenti, ponendoci da tramite con i nuovi sistemi di governance. Concordemente a quanto detto sopra vogliamo essere sempre più un punto di riferimento, fare sintesi e rappresentare gli operatori a prescindere dal fatto che siano associati o meno. Gli incontri, infatti, sono aperti a tutti, indipendentemente dall’appartenenza associativa.
Sul tema concessioni, quale elemento reputate centrale?
Il nuovo regolamento dovrebbe semplicemente essere coerente con se stesso. Nel 2022-2023 sono stati emanati decreti ministeriali che riscrivono le regole del gioco sulle concessioni. Se lo Stato ha deciso che quelli sono i parametri, tutto si deve muovere di conseguenza, anche i criteri per l'indicizzazione dei canoni. L’operazione deve seguire regole commerciali ed essere adeguata ai piani di investimento delle imprese e al rispetto di tali piani da parte delle stesse.
Altro punto dolente, i dragaggi...
Un’osservazione banale: siamo in un contesto europeo, possiamo bene coglierne le opportunità . Iniziamo a vedere cosa fanno in altre realtà internazionali che funzionano e prendiamo spunto senza inventarci regole che ci imbrigliano. Se in Spagna e Francia il materiale di risulta dei dragaggi è riutilizzato in un'ottica di economia circolare, perché non possiamo farlo anche noi?
Che cosa inceppa il meccanismo?
Bisogna fare un salto culturale e amministrativo. Non può continuare a esistere questa frammentazione di competenze tra enti, per cui ogni regione ha criteri applicativi diversi sulle singole attività , che siano dragaggi, aspetti fitosanitari o altro. Il sistema portuale è un sistema industriale e come tale deve avere regole omogenee. Diversamente non riusciremo mai a essere competitivi. I nostri porti sono diffusi sul territorio nazionale ma non possono correre ad handicap a causa di legislazioni concorrenti. L’esempio recente della Campania che impone una aumento spropositato fino al 25% dei canoni ai terminal portuali ne è un esempio lampante.
Vi state battendo per il riconoscimento delle comunità energetiche portuali, a che punto siamo?
Ancora attendiamo riscontri. Si parla tanto di portualità , di blue economy, ma quando si deve diventare concreti non si va a dama. Il 2025 lo ricorderemo come l'anno in cui si è parlato tanto ma si è fatto poco. Sono passati tre anni dalla proposta di autorizzazione per i consorzi tra imprese e Autorità di Sistema per l’autoproduzione energetica: siamo ancora fermi al palo.
Una stasi che riguarda anche il rinnovo delle governance portuali...
Con il concreto rischio di perder un anni di programmazione. Le strutture senza un sistema di governance chiaro e nella piena funzionalità dei poteri, inutile giraci attorno, non si muovono. Il tema è complesso. Finché non hai un presidente costituito, non puoi avere un comitato di gestione, non puoi designare un segretario generale. Finché non è formalmente in carica, non può procedere nella strutturazione.
Come garantire il ricambio generazionale nel comparto?
Ci sono due fattori che frenano. Il primo: il governo non riesce a finalizzare la costituzione del fondo per il prepensionamento dei lavoratori portuali. C’è una norma del 2021 che manca di decreti attuativi, nonostante le aziende continuino ad accantonare risorse. Un suo sblocco agevolerebbe le persone già da quest'anno a uscire dal ciclo operativo senza perdere economicamente troppe risorse. Dall’altra parte, bisogna rendere più flessibile la possibilità di inserire giovani attraverso l’apprendistato favorendo l’inserimento dagli ITS per quelle figure professionali che serviranno tra tre-cinque anni. Anche in quest’ambito scontiamo un’esigenza di modernizzazione delle nostre regole contrattuali.
La sfida principale da affrontare nei prossimi anni?
C’è un grosso tema di efficienza. Al di là degli investimenti infrastrutturali, le aziende stanno puntando sulle tecnologie digitali per migliorare l’organizzazione degli spazi e la capacità di movimentare le merci. È uno sforzo che deve riguardare tutta la filiera logistica: ogni attore del processo dovrebbe fare un passo di lato e smettere di avere ansie da prestazione egoistiche. Per cogliere l’opportunità della digitalizzazione i dati devono essere messi in comune per agevolare il trasporto stradale, ferroviario, ridurre la congestione di porti e interporti. O creiamo una capacità di dialogo delle informazioni veloce ed efficiente, oppure faremo fiasco. Per questo servono risorse umane capaci di gestire questi meccanismi e una pubblica amministrazione più snella.
G.Grande